“Bel me caro!” Piange, Dina Vignali, classe 1931, di fronte a quel paio di pantaloncini color cachi ritrovati in un angolo della soffitta, nascosti, come si nasconde un ricordo prezioso e allo stesso tempo doloroso.
Piange pensando al fratello Ernesto, chiamato Fernando, quando una mattina di giugno del 1944 decise di andare a Forno, da cui non fece più ritorno. Un paio di pantaloncini corti, color cachi, stile militare, bucati, in certi punti rammendati , imbevuti di sangue, una reliquia che è il simbolo di tutti quei giovani che quel dannato giorno del 13 giugno finirono sul mucchio, falciati dalle mitraglie nazifasciste.
“Ricordo quella mattina che passarono due suoi amici – racconta Dina, all’epoca tredicenne – e gli chiesero di unirsi a loro per andare al Forno, perchè erano scesi i partigiani. E lui, euforico, li seguì. Era una ragazzo molto vivace, e partì contento. Era bello, solare, combattivo. Aveva 23 anni ed era rientrato dalla campagna di Russia. I due amici tornarono a casa mentre lui scelse di unirsi ai partigiani, al Forno. E in tre giorni la sua vita finì”.
Quando seppe della strage di Forno?
“Il giorno stesso del massacro. Quella mattina del 13 giugno, come al solito accudivo alcuni bambini in fondo alla strada quando notai file di camion di tedeschi. Mi chiesi dove fossero diretti, eravamo in piena guerra. Nel tardo pomeriggio, si seppe della strage al Forno. In famiglia pensammo subito che avrebbe potuto esserci anche Fernà tra i giovani uccisi. Non so come, quel dubbio divenne una certezza”.
Qualcuno della famiglia andò lassù per il riconoscimento?
“Mio fratello Umberto aveva un camioncino e si diresse verso il luogo dell’eccidio. Con lui c’era mia cognata, Elena Elide Lazzini. Fernando era nel mucchio, lo trovarono quasi in fondo. Probabilmente era tra i primi gruppi di giovani massacrati. Umberto e Elena, aiutati da altre persone presenti al riconoscimento dei propri cari, lo hanno cercato tra i cadaveri, spostandoli, per poi arrivare a lui, massacrato”.
Come lo prelevarono?
“Lo portarono a casa. Ricordo quando arrivò. Ricordo la disperazione di mia madre Amalia, mio padre Pietro. Una tragedia consumata in silenzio, nel terrore che i tedeschi udissero il nostro pianto. Avevamo un tavolo lungo, perchè eravamo una famiglia numerosa, otto tra fratelli e sorelle. Fernà lo distesero sopra il tavolo in cucina e fu mio babbo a prendersi cura di quel corpo crivellato di colpi. Lo lavò. Era talmente messo male che non capiva più come sistemarlo. Alle mie sorelle minori non fu permesso di entrare e andarono a piangere nel campo, per paura che i tedeschi le udissero. Passavano per strada, i tedeschi, sento ancora il rumore dei passi, dei loro scarponi “.
Indossava dei pantaloncini, Fernà.
“Sì, aveva un paio di pantaloncini corti, color militare – sorride Dina ricordando quei particolari – . Erano tutti rammendati perchè al tempo non poteva averne altri. Lo vedo ancora, Fernà, con quei pantaloni. Non era alto di statura, aveva i baffi , i capelli scuri, sempre solare ma indignato per la guerra”.
Se la sente di vederli? Li abbiamo noi.
Difficile trattenere l’emozione. Quei pantaloncini imbevuti di sangue, riaffiorati dalla storia, raccontano non solo la tragedia di Ernesto Fernando Vignali ma di tutti quei giovani che versarono il loro sangue per difendere il proprio Paese dal giogo nazifascista.
“Elena glieli tolse ma non sapevo che li avesse conservati per tutto questo tempo – li stringe al petto e tra le lacrime ripete “bel me caro”.
E’ stata Debora Evangelisti, pronipote di “Fernà” ad aver ritrovato quei pantaloncini, consegnati poi all’associazione Eventi sul Frigido affinchè se ne prenda cura.
“Per noi erano leggenda – racconta -. Mia nonna parlava di quei pantaloncini tolti a quel ragazzo martoriato ma nessuno di noi li aveva mai visti. Nonna Elena, conosciuta come Elide, se n’è andata e abbiamo ripulito la soffitta. Per fortuna ero presente e conoscevo la storia di quei pantaloncini altrimenti avrebbero potuto finire tra i rifiuti da buttare. Li ho trovati in un angolo, piegati dentro un sacchetto e quando li ho visti mi è tornata alla memoria tutta la storia che raccontava mia nonna, ricordando suo cognato morto a Forno. Con mia mamma Ebe abbiamo deciso di consegnarli all’associazione Eventi sul Frigido, che da tempo si occupa di recupero di memorie sui fatti di Forno, e chiediamo sia data una dignitosa collocazione a quella che rappresenta una reliquia, unico simbolo rimasto di quell’orribile strage”.
“Abbiamo già parlato con il sindaco Francesco Persiani, con Dino Oliviero Bigini ex presidente dell’Anpi e Elena Cordoni, attuale presidente Anpi – spiega Angela Maria Fruzzetti, vice presidente dell’associazione – e c’è la volontà di tutti nell’identificare il luogo migliore dove collocare quella reliquia di guerra, rendendola ben visibile a perenne memoria del sacrificio di tutti quei giovani che si unirono nella lotta di resistenza, offrendo la loro vita per liberare il nostro Paese dal fascismo e dagli invasori. Ringrazio la famiglia per aver consegnato all’associazione questa preziosa memoria. Ne siamo onorati”.
Un paio di pantaloncini imbrattati di sangue, un ragazzo di 23 anni morto 78 anni fa durante la lotta di resistenza per difendere il Paese: un simbolo forte arrivato a noi proprio nel momento dello scoppio della guerra in Ucraina, dove tanti giovani come Fernà stanno sacrificando la loro gioventù resistendo all’invasione nemica per salvare il proprio Paese.
Ernesto Fernando Vignali è uno di quei 56 giovani massacrati a Forno il 13 giugno 1944. Forno, lo ricordiamo, è stato teatro di uno dei più feroci episodi di rappresaglia nazifascista durante la seconda guerra mondiale.
Era il giugno 1944 e l’arrivo degli Alleati sembrava imminente, così pensarono i partigiani della formazione “Mulargia” che il 9 giugno decisero di scendere dalle posizioni che avevano organizzato sulle Apuane per occupare il paese di Forno, insediando il proprio comando nella caserma dei Carabinieri.
Dura fu la reazione dell’esercito nemico: da La Spezia venne mobilitato un battaglione tedesco della 135.ma brigata con un reparto della marina germanica e una compagnia della X MAS. Nella notte tra il 12 e il 13 giugno il paese venne circondato e all’alba tedeschi e fascisti attaccarono: la resistenza tentata dai partigiani, presi di sorpresa, fu travolta.
Ci fu la rappresaglia. Tutta la popolazione fu fatta sgomberare dalle case. Donne e bambini furono radunati oltre la sponda del Frigido e tenuti in ostaggio per tutto il giorno.
51 uomini vennero fatti prigionieri e deportati in Germania, 56 fucilati a Sant’Anna. 68 furono le vittime di quella tragica giornata.

