A Firenze, la mostra su Donatello sorprende per l’accuratezza, gli accostamenti e l’umanità che promana da ogni opera scelta
Appena uscito dalla mostra fiorentina Donatello. Il Rinascimento, lo storico dell’arte Tomaso Montanari ha scritto sui suoi profili social:
“In questi giorni terribili in cui ci chiediamo se siamo sull’orlo della fine, in questi giorni di folle caccia alle streghe pacifiste, la mostra di Donatello a Firenze, capolavoro di Francesco Caglioti e più riuscita fra le mostre che ho visto in vita mia, è un’oasi altissima di umanità, una spinta potentissima di amore per la vita”.
Basterebbero queste poche righe per descrivere la straordinaria e irripetibile retrospettiva ospitata presso le sedi di Palazzo Strozzi e costruita come un grande omaggio ad uno dei geni più formidabili del Rinascimento italiano: Donato di Niccolò di Betto detto Donatello.
L’esposizione, visitabile fino al 31 luglio 2022, è stata curata dallo storico dell’arte Francesco Caglioti, ordinario di storia dell’arte medievale presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, autore di vari saggi e cataloghi. Una personalità di alto profilo, una figura esperta e preparata e che dimostra come possa elevarsi il livello medio delle mostre che infestano i musei e le fondazioni italiane se ad occuparsene fossero sempre personalità competenti. Divisa in una decina di sale, l’esposizione segue la carriera di Donatello dalle sculture in legno ai bassorilievi in marmo.
La prima sala accoglie in maniera sorprendente il visitatore che si trova sovrastato dalla imponenza di due enormi crocifissi in legno, capaci di mettere a confronto la perizia tecnica e interpretativa di Donatello e di Filippo Brunelleschi. Già da qui dunque si palesa l’impronta connotativa dell’esposizione: un’impronta iconografica, comparativa, dedicata prevalentemente alla variazione sul tema della Madonna con bambino che accomuna tutte le 130 opere con le quali Donatello è messo a confronto.
Non è solo questo però che lega Donatello e lo stuolo di maestri, emuli, allievi o rivali che animano le sale di Palazzo Strozzi, ma anche la varietà della scelta dei materiali e delle tecniche utilizzate. Si parte così dalle sculture in terracotta alle quali Donatello si dedicò in età giovanile, con uno sguardo attento alle forme tardo gotiche di Lorenzo Ghiberti e alle figure di Jacopo della Quercia e Nanni di Banco, del quale è esposta una delicatissima Madonna col bambino del 1415 – 20, per approdare ai grandi rilievi in marmo.
La sperimentazione di Donatello non si ferma però, come risaputo, alla scultura in terracotta o pietra, ma anche al bronzo, soprattutto dorato e smaltato: ecco allora un San Ludovico di Tolosa (1418 – 25) proveniente dal Museo dell’Opera di Santa Croce, prima prova in cui lo scultore si cimenta nella fusione in bronzo su scala monumentale, mentre nella sala successiva non poteva mancare il celeberrimo Convito di Erode (1423 – 27), vero e proprio spartiacque della storia dell’arte e della scultura moderna, direttamente dal Battistero di San Giovanni di Siena, e connotato da un risultato effettistico ottenuto dell’impiego dello stiacciato, specie di rilievo bassissimo che intende dare una riduzione in prospettiva del volume reale dei corpi e degli spazi al fine di conseguire un estremo valore pittorico. Un effetto sovente inseguito dallo scultore, come dimostra anche la presenza di una tela di Andrea del Castagno che permette di capire tramite accostamento quali fossero i risultati finali realmente anelati dello scultore fiorentino.
Lo stiacciato ritorna ancora nella Madonna Pazzi (1422 ca.), giocata in una cornice che accentua lo scorcio di una figura inserita in uno spazio costruito in maniera originalmente brunelleschiana. Le forme sono ancora rigide, angolose, sintetiche, e vanno incontro ad una maggior morbidezza negli anni successivi come testimonia la meravigliosa Madonna col bambino detta Madonna dei Cherubini del 1440 – 45: qui troviamo una madre e un figlio; lei appoggia dolcemente la guancia sul capo del bambino che cinge le mani congiunte di Maria, in un rapporto unico come unico è solo quello di una madre col suo bambino. Unico, delicato e al contempo così estremo, tanto che riaffiorano alla mente i bellissimi versi di Supplica a mia madre (1964) di Pier Paolo Pasolini: “Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore”.
Eccola dunque l’umanità, eccolo l’amore per la vita, che trabocca da un percorso di opere adeguatamente scelte e capaci di raccontare l’universo di Donatello e ciò che è riuscito a fecondare non solo da un punto di vista artistico, con tutto il seguito di allievi ed imitatori che ne sono derivati, ma anche da un punto di vista umanistico. Grazie alla reiterazione di quei pochi temi che per lo scultore sono fondamentali e primari, e che si susseguono nel percorso espositivo della mostra, si compone davanti agli occhi dei visitatori quella che è una vera e propria partitura che celebra innanzi tutto l’umanità che forse non abbiamo mai posseduto e che le opere d’arte, apparentemente così inutili, cercano invece da sempre di racchiudere, a partire dal quello straordinario Crocifisso del 1408 ca.: imponente, come la croce su cui Cristo fu inchiodato, “la più grande per chi guerra insegnò a disertare” come canta Faber nel suo album La Buona Novella (1970).
Parole, immagini e versi che forse oggi dovremmo ricordarci più spesso e che la mostra a Palazzo Strozzi riesce a stimolare, dimostrandosi come meta obbligata per chiunque voglia rimanere umano in un mondo che non sembra mai esserlo stato.

