Per Ritratti d’Autore, oggi torniamo in Russia con Boris Pasternak (1890-1960).
Il celeberrimo autore de Il Dottor Zivago, nasce a Mosca da una agiata famiglia di artisti ebrei. La madre era una famosa pianista e il padre un affermato pittore. Casa sua era una sorta di salotto-culturale dove si incontravano personaggi del calibro di Lev Tolstoj, Rainer o Aleksandr Nikolaevič Skrjabin… autentiche celebrità del tempo.
Impossibile quindi, per il nostro, diventare, che so… un ragioniere.
Conseguita la laurea in Filosofia, lavorò a lungo come insegnante privato seguendo la tradizione di famiglia riguardo circoli e gruppi letterari. Arriviamo al 1914. Sono anni di grandi cambiamenti politici, sociali e culturali. Sono gli anni del futurismo, un movimento che guardava alla scienza, alla tecnologia e alle capacità dell’uomo con particolare fervore. Ma sono anche gli anni che preludono alla Rivoluzione d’Ottobre e Pasternak non può non venirne influenzato.
Diventa membro attivo del collettivo di futuristi russi Centrifuga e sperimenta un nuovo tipo di linguaggio con la serie di poesie: Il gemello nelle nuvole cui segue la raccolta Oltre le barriere, e i versi: Mia sorella la vita. Cosa c’è di nuovo nelle sue opere? Le originalissime descrizioni della natura nettamente in controcorrente con il lirismo, a volte epico, di altri scrittori suoi coetanei.
La poetica di Pasternak mescola emozioni e natura; un connubio fatto di sensazioni psicofisiche che entrano più o meno in sintonia con le stagioni condizionando la nostra vita quotidiana.
Febbraio. Prender l’inchiostro e piangere!
Scrivere di Febbraio a singhiozzi,
finché il tempo piovoso scrosciante
brucia come una fosca primavera.
Ma l’amore per questa corrente dura poco. Il carattere dei futuristi è un po’ troppo aggressivo per il quieto Pasternak che predilige atmosfere tranquille, domestiche, direi “intime”.
E infatti nei poemi L’anno 1905 e Il luogotenente Schmidt, (pubblicati tra il 1925-1927) Pasternak affronta il tema storico della rivoluzione, però lo fa inserendo nella sua scrittura qualcosa di fiabesco, di lontano e dal sapore delicato. Probabilmente attingendo ai ricordi della sua infanzia.
Sul piano politico, partecipò con fervore al cambiamento intellettuale post-rivoluzione. Indubbiamente il nostro ha cercato di essere il più leale possibili ai nuovi ideali del regime, ma questo non gli impedì di foderarsi gli occhi o di nascondere a se stesso (e agli altri) le atrocità che questi commetteva.
Nel 1931 pubblica Il salvacondotto, una sorta di autobiografia ricca di riflessioni teoriche e filosofiche e inizia anche a sognare una Russia europea, universale, diversa da quella sovietica. Prende posizione denunciando le condizioni dei contadini collettivizzati e cerca di aiutare l’amico poeta e saggista Osip Mandel’stam colpevole di aver scritto un’ode contro Stalin… impossibile non destare l’interessa del Commissariato del popolo per gli affari interni (il futuro KGB per capirci).
In questi anni si stabilisce a Mosca, si sposa, divorzia e si risposa.
A disagio nel clima di sempre più rigido controllo ideologico, Pasternak si dedica per alcuni anni alla traduzione da Shakespeare, Goethe, von Kleist, poeti georgiani. Solo a ridosso e durante la II guerra mondiale, torna a pubblicare. Esce: Sui treni del mattino, La vastità terrestre.
Ma l’anno del distacco definitivo dalla politica culturale del partito avviene nel 1946, quando attacca pubblicamente gli intellettuali asserviti al regime. In quello stesso periodo comincia la stesura del suo capolavoro, ovvero l’unico romanzo della sua vita. IL DOTTOR ZIVAGO. Si vede che a volte ne basta uno, ma buono.
Curiosamente, le vicende personali di Pasternak ricalcano quasi alla lettera quelle narrate nel Dottor Zivago, compresi i massacri avvenuti durante la Rivoluzione Russa ad opera dello zar, e quelli successivi voluti dal regime comunista.
Il romanzo sviluppa il tema della fragilità dell’individuo, della sua solitudine (non solo intellettuale) alle prese con la violenza della storia; la trama copre un arco temporale di circa mezzo secolo: inizia nel 1905 e si conclude con la fine della seconda guerra mondiale.
Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato. La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita.
Contro Pasternak, si schierarono i compagni comunisti dell’Unione degli Scrittori, di orientamento stalinista che cercarono (riuscendoci) di boicottare la pubblicazione del testo. Tuttavia il manoscritto in qualche modo superò i confini sovietici arrivando in Italia dove – non senza difficoltà – la casa editrice Feltrinelli riuscì a pubblicarlo nel 1957.
L’opera procurò a Pasternak un’improvvisa e vastissima notorietà mondiale ma anche moltissime grane.
Per l’autore inizia un periodo duro; non solo il suo libro viene bandito dal regime ma lui stesso vive continuamente sotto osservazione e costretto a una vita di povertà e isolamento.
Il Dottor Zivago diventa un caso letterario (e politico). Viene tradotto e ripubblicato ovunque fino a farne il simbolo di una realtà a noi sconosciuta.
Tale è la sua fama che l’anno successivo Boris Pasternak viene nominato per il Nobel. E qui entra in gioco il marketing dei servizi segreti. Dovete sapere che, affinché venga assegnato il prestigioso premio, il manoscritto deve essere pubblicato anche nella lingua del paese di origine dell’autore. Figuriamoci. E allora, come ovviare? Nessun problema… ci pensa la CIA con l’aiuto dei 007 al servizio di Sua Maestà Britannica che intercettano il libro scritto in russo, lo fotocopiano pagina per pagina e, con un trucco degno del miglior fotoshop moderno, lo fanno apparire come pubblicato con tanto di intestazione di noti editori russi. Et voilà, il Nobel (dal sapore decisamente antisovietico) è servito.
Pasternak è commosso e interdetto, il governo russo invece è incavolato, lo accusa di tradimento e il KGB si fa sempre più minaccioso. Al nostro non resta che rifiutare il premio e il denaro. Boris Pasternak passerà i restanti due anni di vita ancora più povero e ancora più perseguitato. Si rifugia nella sua dacia a Peredelkino (quartiere di Mosca) dove muore il 30 maggio del 1960.
Il libro verrà pubblicato in Unione Sovietica nel 1988 grazie alle riforme intraprese da Gorbačëv, e solo nel 1989 il figlio dell’autore, Evgenij, si recherà in Svezia per ritirare il Nobel spettante al padre 31 anni prima.

