Le due note città toscane ospitano le esposizioni delle opere dei due artisti Sandro Gorra e Stefano Bombardieri
Ai cittadini, ma anche ai turisti (visto l’arrivo della stagione estiva), di Pietrasanta e Forte dei Marmi capiterà in questi giorni di vagare per la città e di imbattersi nelle sculture di enormi giraffe che perdono le macchie oppure di gigantesche teste di rinoceronte.
Si tratta delle opere di due artisti interessanti e notevoli, entrambi originari della Lombardia, protagonisti delle due esposizioni inaugurate nel mese di aprile.
Sandro Gorra (Milano, 1944) si è distinto nel tempo come uno degli artisti più pregevoli nell’ambito dell’advertasing che lo ha portato a collaborare come creative director per le maggiori agenzie italiane. Ha creato slogan di successo e campagne per Fiat, Chanel, Pepsi, Panasonic e Toshiba, e ottenuto vari riconoscimenti (anche per la sua frequentazione del cinema). La mostra a lui dedicata si intitola “Sandro Gorra. L’arte dell’attimo”, a cura di Gianluca Marziani e ospitata a Pietrasanta. L’esposizione raduna quarantadue opere tra lavori pittorici, illustrazioni e grandi sculture oltre a centoventi disegni presentati in sei grandi collage.
Sicuramente le sculture di maggior impatto sono quelle accolte dalle piazze e dalle vie dello storico comune della Versilia: il percorso si snoda infatti tra alcuni dei punti nevralgici principali della città, da piazza del Duomo a piazza Carducci, dalla chiesa fino alle sale del chiostro di Sant’Agostino per culminare nella Laura Tartarelli Contemporary Art Gallery.
Alcune sculture sono state collocate anche presso il pontile di Marina di Pietrasanta, come la Cubo Pardalis (2021) scultura in acciaio corten concepito site –specific, mentre in centro si possono ammirare le sue iconiche giraffe mentre perdono le macchie, cifra distintiva della poetica di Gorra. Uno stile che intreccia poesia ed ironia e ragiona sul mondo animale come specchio e riflesso della società umana, da una parte rosa dalla sete di ambizione e di prevaricazione, come in Alvaro (2021) scultura di quattro quintali che raffigura un essere metamorfico caratterizzato dalle immancabili macchie, ma dall’altra capace di raggiungere i propri obbiettivi attraverso una caratteristica tutta dell’uomo come l’inventiva e la creatività. Non è un caso se l’artista sia solito affermare che “la cosa più creativa siamo noi” e arrivando a definire la sua arte “daily art”.
Degna di nota la sua ultima scultura in piazza del Duomo, Grande Max (2022) che mostra una giraffa adulta ricoprire con le proprie macchie il suo cucciolo rannicchiato. Gorra ha utilizzato qui un purissimo marmo Bianco Altissimo, proveniente dalla cave del territorio. Nella realizzazione delle opere non è secondario infatti l’apporto delle abili e sapienti mani degli artigiani della Versilia, come fu per l’esposizione dell’anno scorso dedicata alla New Pop di Domenico Veneziano, le cui opere erano state modellate nelle fonderie locali.
Se Pietrasanta viene invasa dalle giraffe, Forte dei Marmi è invece stretta fra monumentali teste di rinoceronte, elefanti sospesi per aria e grossi animali selvatici.
Si tratta di Stefano Bombardieri, classe 1968 e nato a Brescia, in mostra fino al 16 luglio nella rassegna “Bombardieri e altri animali” curata da Luca Beatrice. Ancora una volta gli animali sono protagonisti indiscussi, ma differentemente dal collega Gorra le opere dell’artista bresciano mostrano di non dimenticare la presenza antropica: bambini o bambine sono spesso in dialogo con i grandi mammiferi come nella famosa Marta e l’elefante (2017), in piazza Garibaldi, al Fortino. Una natura a rischio, quella presentata da Bombardieri, sovente colta in una condizione di sospensione in grado di mettere in comunicazione cielo e terra portandoci a ragionare su cosa stia accadendo al nostro ecosistema e rendendoci non solo testimoni ma tirandoci forzatamente in causa, facendoci capire che il loro stare a metà (tra protezione ed estinzione) dipende esclusivamente da noi. Una filosofia che avvicina Bombardieri alle avanguardie più appassionanti dell’arte contemporanea interessata al global activism, adatta a far scattare una riflessione attraverso quel metodo di lavoro che lo storico dell’arte Vincenzo Trione ha definito “artivismo” nel suo ultimo omonimo saggio (Artivismo, Einaudi, 2022).
In entrambe le esposizioni la natura è posta in primo piano e si riappropria di spazi che da cittadini consideriamo inviolabili: sono le nostre piazze, le nostre strade, magari davanti al portone di casa, attivando un radicale effetto straniante. È una natura vittima che si impone e lotta, che vuole recuperare una sua preminenza nel discorso pubblico (grazie anche alla monumentalità delle opere) e che per questo viene collocata nell’agorà, intesa nell’accezione antica come “il luogo dell’assemblea e di aggregazione dei cittadini”. Questi scomodi protagonisti cercano così di farci capire che non c’è sopravvivenza senza rispetto, né futuro senza salvaguardia. Un dualismo che persiste anche nella sua declinazione negativa: l’estinzione non è univoca, ma coinvolge il mondo naturale tanto quanto la società umana.

