Il film con Tom Cruise, sequel del mitico Top Gun (1986), è approdato a Cannes 75 ed ha aperto la nuova stagione nelle sale superando il mezzo miliardo d’incassi
Ultimamente ci si lamenta spesso del fatto che al cinema si possono vedere solo sequel, spin off o reboot. Penso al recente Jurassic World – Il Dominio (Colin Trevorrow, 2022), ultimo capitolo di una saga che avrebbe dovuto interrompersi ormai già da tempo, o alla distribuzione sulla piattaforma Disney Plus della miniserie Obi – Wan Kenobi (Deborah Chow, 2022), ennesimo spin off dedicato ad un personaggio del mondo di Star Wars.
Se tutti i sequel fossero però come Top Gun: Maverick, per la regia di Joseph Kosinski (già regista di Tron: Legacy, 2010 e Oblivion, 2013), potremmo anche iniziare ad apprezzare questa moda tutta blockbuster dei sequel.
Trent’anni di attesa, più di ottocento ore di riprese aeree (poi tagliate e montate straordinariamente da Eddie Hamilton e Chris Lebenzon) e un protagonista d’eccezione che non ha perso nulla del suo fascino, sono stati gli ingredienti adatti per far funzionare una storia narrata bene e costruita in modo altrettanto magistrale, confezionando un film che supera le aspettative e non è azzardato possa ritenersi persino migliore del prequel.
Se oggi Top Gun (Tony Scott, 1986) può considerarsi un film cult estremamente invecchiato, il suo sequel si mostra invece in grado di vivere di vita propria, capace di ragionare su tanti spunti sistematici e di farne tesoro per non scalfire la fortuna e il successo che avevano contribuito a creare la mitologia sorta attorno al primo film.
Lo script si focalizza sul ritorno del tenente Pete “Maverick” Mitchell (un per nulla invecchiato Tom Cruise), che dopo anni di servizio alla Marina viene richiamato alla Top Gun, prestigiosa scuola americana per aviatori, in veste di istruttore per impartire lezioni alle nuove reclute, fra le quali è presente anche il figlio dell’amico Nick “Goose” Bradshaw, Bradley (Miles Teller), deceduto nel primo film a causa di un ammaraggio. Maverick, sopravvissuto all’incidente, si sente ancora responsabile della morte dell’amico e questo lo porterà a scontrarsi proprio con Bradley mentre cercherà di riallacciare i rapporti con una vecchia fiamma: Penny Benjamin (Jennifer Connelly).
La regia è caratterizzata da una buona gestione dei momenti d’azione, incastonate in un flusso d’immagini che fanno oscillare il tasso emotivo: se è vero, come diceva Carlo Arturo Quintavalle, che al cinema spetta il compito di fare uso del figurativismo (che scompare nell’arte contemporanea, si pensi all’Informale), allora si può affermare che Kosinski sia persino capace di “disegnare sullo schermo”, attraverso l’uso di una MDP sempre al posto giusto, in grado di creare delle sequenze cristalline, perfettamente composte grazie anche alla fotografia plastica e profonda di Claudio Miranda, che ha lavorato spesso con David Fincher e ha vinto un Oscar alla miglior fotografia per Vita di Pi (Ang Lee, 2013). Non solo, ma Kosinski fa uso di una regia mai invasiva eppure di grande carattere che adotta uno sguardo contemporaneo e uno che va impalcando un costante omaggio al film prequel, senza perciò scadere in un effetto démodé, e che coadiuva i vari elementi che si sposano efficacemente fra loro evitando di far apparire il film troppo derivativo o nostalgico.
Lo script serrato mette in scena una vicenda che sviscera gli elementi emozionali che avevamo amato nel primo film, portando il dialogo in primo piano spesso a scapito del linguaggio delle immagini e conducendo alle massime possibilità espressive delle situazioni narrative già collaudate da Jim Cash e Jack Epps jr. (soggettisti e sceneggiatori di Top Gun). Notevole la parte finale del film, dove l’aspetto visivo e sonoro si compenetrano in un mix spettacolare dove emerge Tom Cruise, perfetto e brevettato action hero, un’autentica macchina – cinema che conserva ancora il giusto fisico e il volto adatto che lo avevano consacrato come divo negli anni Ottanta.
Cruise torna infatti a vestire i panni di “Maverick” Mitchell: come suggerisce il titolo, il film vuole proprio mettere al centro la figura dell’aviatore uscendo dalla coralità tipica del prequel, componendo quello che appare come un one man show del quale Cruise è il protagonista indiscusso e attorno a cui ruotano tutti gli altri personaggi, da quelli nuovi alle vecchie conoscenze come Val Kilmer, che ritorna in un commovente cameo a vestire i panni di Tom “Iceman” Kazansky.
Top Gun: Maverick funziona perfettamente in ogni aspetto, situandosi a metà fra il film d’azione e il war movie (ma senza lo spauracchio dei russi, canonico nei film di guerra hollywoodiani della seconda metà del Novecento).
Un film grandioso ed emozionante che, sull’esempio di Mad Max: Fury Road (George Miller, 2015) e Blade Runner 2049 (Denis Villeneuve, 2017), dimostra che fare buoni sequel è possibile.