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Intensa, oscura e grottesca: da non perdere la seconda parte del film di Marco Bellocchio dedicato al rapimento Moro

Il 18 maggio è uscita in sala la prima parte di Esterno Notte (2022), film che ripercorre le vicende del delitto Moro con una prospettiva narrativa e registica diametralmente opposta da quella adottata in Buongiorno, Notte (2003) dove Marco Bellocchio affrontava per la prima volta l’evento cardine dei cosiddetti Anni di Piombo. Dal 9 giugno si può invece tornare in sala per assistere alla conclusione di questa magistrale opera monstrum di 300 minuti che sviscera e viviseziona l’Italia, la sua politica e soprattutto i suoi rappresentanti come cavie da laboratorio.

Se la prima parte dava voce ai colleghi e agli amici intimi di Moro (Fabrizio Gifuni), la seconda si concentra inizialmente sulla controparte terroristica raccontando i vari passaggi che hanno condotto le BR ad organizzare l’operazione di rapimento capitanata da Mario Moretti (Davide Mancini), Valerio Morucci (Gabriel Montesi) e Adriana Faranda (una strepitosa Daniela Marra). Lo script, costruito alla luce di una potente vena romanzesca, accentua i rimorsi, le contraddizioni e anche l’improvvisata violenza delle BR, cadute in un gioco più grande di loro, incapaci di bilanciare l’azione terroristica con l’ideale utopico socialista. Le BR sono prede di indecisioni e lacerazioni, sia legate al proprio operato che riguardo alle proprie scelte personali: notevole la scena in cui Adriana Faranda si accorge dell’impossibilità dell’avvento della Rivoluzione per la quale ha abbandonato tutto, sacrificando anche la propria figlia.

Bellocchio però non si ferma qui e penetra ancora più a fondo, scava fino ad addentrarsi nelle tenebre e non è un caso se nel corso della narrazione molti personaggi vengano inghiottiti dal buio: più sfuggono le possibilità di rivedere Moro vivo, più i suoi collaboratori, amici o parenti vengono avvolti dall’oscurità della fotografia di Francesco di Giacomo, rendendoli simili a delle apparizioni fantasmagoriche. Lo stesso Moro, nel finale, costretto in una piccola stanza senza superfici riflettenti, chiederà più volte al parroco giunto per dargli conforto “Come mi vede?”. Sarà il pubblico a rivedere il presidente della DC poco dopo, ucciso e ritrovato nel bagagliaio della macchina in via Caetani, magro, sfinito e pallido come un fantasma la cui presenza/assenza tormenterà i  colleghi della DC (e la politica italiana in generale) nonostante i loro successi futuri: il film si chiude infatti con un montaggio di immagini di repertorio che ripercorre le carriere e le vite delle persone implicate nel rapimento, da Cossiga (che diventerà presidente della Repubblica) ad Andreotti (che rimarrà ai vertici della DC fino al 1992).

Da manuale il montaggio di Francesca Calvelli che riesce a far penetrare l’irrealistico e il grottesco nella partitura storica dello script scardinando le certezze sedimentate sul delitto Moro e liberando il non – detto e il non – visto della vicenda, attraverso scene allucinate e oniriche (come la visione dei corpi morti galleggianti di Moro e di alcuni suoi colleghi che attanaglia Adriana Faranda in un momento di ripensamento).

Il tema dello sguardo è fondamentale in Esterno Notte: Bellocchio ci mostra diversi punti di vista, vari modi di guardare all’affare Moro, uno sguardo forzatamente eterodiretto dalle posizioni, dai ruoli, dalle gerarchie o dalla vicinanza che i vari attori hanno giocato in queste vicende. Per questo, dopo aver dato spazio alla Dc e alle BR, il film non poteva non risparmiare anche la moglie Eleonora Moro interpretata da Margherita Buy che qui affresca una delle performance più intense della sua carriera: integerrima, profondamente cattolica, combattuta tra l’affetto per il marito e il tentativo di smuovere la DC ad agire senza mai avere la forza di imporsi: “Ho ringraziato l’assassino di tuo padre” dirà alla figlia dopo aver parlato rispettosamente al telefono con un mediatore delle BR.

Ed infine l’ultima parola va a lui, ad Aldo Moro, il buco nero al centro della galassia politica studiata da Bellocchio: Gifuni si supera in un lancinante monologo finale impastato di rabbia, odio, disillusione e resa declinando la sua attenzione interpretativa non sul politico, ma sull’uomo: quello fissato con l’igiene, fedele alla famiglia e terrorizzato dalla morte imminente: “Cosa c’è di folle nel non voler morire”, dirà in un momento apicale del film.

L’opera di Bellocchio libera l’invisibile che abbiamo voluto tenere nascosto su queste vicende, usa l’immagine filmica come un bisturi per palesarlo (penso alla sequenza che precede di poco la scoperta del corpo di Moro dove il film immagina cosa sarebbe successo se il politico fosse stato ritrovato vivo, ancora una volta giocata su una ottima operazione di montaggio) e perlustra le zone più aliene della vicenda attraverso un uso mai fazioso dei linguaggi visuali (entrano in gioco nella pellicola vari media veicoli d’immagini: televisione, cinema, fotografia etc.). Bellocchio spinge le possibilità espressive del mezzo filmico fino in fondo per poi tornare “alla luce con i suoi canti”, come scriveva Giuseppe Ungaretti. E come nella poesia Il Porto Sepolto, anche alla fine dei 300 minuti di Esterno Notte, di tutto quel racconto, di tutte quelle intricate vicende sulle quali forse mai riusciremo del tutto a fare chiarezza non resta che il Nulla, “quel nulla d’inesauribile segreto”.

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Jacopo Marconi

Collaboratore Massa Carrara News

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