Per la rubrica Ritratti d’Autore, oggi siamo in compagnia di Eric Arthur Blair, meglio noto come George Orwell (1903-1950). Nonostante la brevità, la sua, fu una vita ricca di avventure.
Orwell è stato: scrittore, giornalista, saggista, critico letterario, opinionista e anche un’attivista politico e sociale, molto seguito. Insomma, una sorta di influencer colto.
Con la sua graffiante scrittura mise a nudo i totalitarismi del mondo occidentale e le ingiustizie sociali che ne derivavano. Non trascurò nemmeno la decadenza della lingua inglese che attribuiva a un mala gestione politica ed economica che di fatto aveva abbassato il livello culturale del pensiero e della letteratura. Chissà come urlerebbe di indignazione davanti all’Isola dei famosi.
Il riassunto del pensiero orwelliano, a mio avviso, lo troviamo nel suo romanzo più celebre (e spaventosamente attuale): 1984, in cui descrive un mondo distopico e senza privacy. Nel racconto, tutti i cittadini vivono sotto continua sorveglianza. Microfoni e teleschermi, a loro volta muniti di telecamera, sono collocati ovunque e non possono mai essere spenti, al massimo è consentito abbassare il volume. Da questi apparecchi il Partito diffonde la sua propaganda ininterrottamente e manipola la mente della popolazione attraverso il Ministero della Verità.
Ma andiamo con ordine.
George Orwell nasce in India da una famiglia di origini scozzesi e pure benestanti. Ma non abbastanza in quanto appartenevano a quella borghesia dei sahib che lui stesso definiva, con un zinzino di ironia: “nobiltà senza terra”, per le pretese di essere all’altezza dei veri ricchi, senza averne i mezzi.
Nel 1907, ancora piccolo, si trasferisce nel Sussex e viene iscritto a scuola. Ora, il concetto di inclusione a quei tempi non era nemmeno allo stato embrionale, e il nostro esce dai sei anni di collegio cattolico con un senso di inferiorità spaventoso e dopo aver fatto ammattire gli insegnanti. Una volta spedì allo stimato geometra della città un biglietto di buon compleanno… attaccato a un topo morto.
Comunque sia, i compagni non gli perdonavano le origini anglo-indiane e lui ne rimase fortemente umiliato.
Queste esperienze le troviamo nel saggio: Tali erano le gioie (1947), e non dovevano essere molte. Nello scritto, l’autore definiva i professori “mostri terribili e onnipotenti” ed etichettò la scuola come “costosa e snob che era in procinto di diventare più snob e, immagino, più costosa”. All’epoca il saggio fu ritenuto troppo offensivo per essere stampato. Fu, quindi, molto saggiamente
pubblicato dopo la morte dello scrittore. Non risultano cause di diffamazioni intentate dalla scuola.
Nonostante tutto, George si rivela uno studente precoce e brillante tanto da vincere una borsa di studio per Eton. I successivi quattro anni studia con un mentore d’eccezione: Alsous Huxley, famoso narratore distopico che tanto influenzò il suo lavoro di scrittore. Grazie a lui, Orwell, imparò a sviluppare uno proprio stile letterario.
Invece di proseguire gli studi a Oxford, la curiosità e la voglia di sperimentare nuove avventure lo spinsero a tornare in Birmania per arruolarsi nella Indian Imperial Police, seguendo le orme paterne. E qui di avventure distopiche ne trova a iosa. L’esperienza è scioccante e Orwell si ritrova con la coscienza divisa a meta: obbedire all’arroganza imperialista o reprimere qualsiasi voce fuori dal coro?
Uno come lui non resiste a lungo e nel 1928 si dimette. Il resoconto di questo periodo lo troviamo nel romanzo: Giorni in Birmania (1934).
Invece di tornare a casa, gli viene voglia di vedere Parigi ma da un altro punto di vista: quello dei bassifondi. Così mette in atto un esperimento sociale: la vita da povero (povero vero) e, per meglio calarsi nella parte, accetta lavori umili e gli aiuti da parte dell’esercito della salvezza. L’esperienza gli piace, evidentemente, perché la ripete tale e quale a Londra. E ci aggiunge anche un tentativo di farsi arrestare.
Dopo essersi spacciato per un pescivendolo, rifiutò di pagare il cospicuo conto in un pub dove si era scolato a sbafo, varie pinte di birra. Ma gli va male (o bene, dipende dal punto di vista). La polizia lo rilascia e manda in fumo i suoi piani. Comunque sia, l’aver toccato con mano le difficoltà delle classi operaie e quelle di chi vive ai margini della miseria, spinsero Orwell a sposare le tesi socialiste. Il materiale raccolto sulla sua pelle gli frutta il romanzo: Senza un soldo a Parigi e Londra (1933).
Stanco di fare il barbone, stavolta torna a casa e alterna l’attività di romanziere a quella di recensore e articolista per New English Weekly e, per ironia della sorte, finisce pure a insegnare in una scuola elementare. Purtroppo la sua salute è cagionevole e dopo un po’ trova un lavoro in libreria. Di tanto in tanto accetta incarichi da parte di associazioni filosocialiste per indagare sulle condizioni dei minatori nelle zone più colpite dalla depressione economica di quegli anni.
Siamo a cavallo del 1932-36 e Orwell pubblica il romanzo Fiorirà l’Aspidistra, in cui il protagonista, un aspirante scrittore, è impegnato in una battaglia contro i codici ipocriti della vita borghese.
“Quei piccoli borghesi là, dietro le loro tendine ricamate, coi loro figli, i loro mobili dozzinali e le loro aspidistre, essi vivevano secondo il codice del denaro, senza dubbio, e riuscivano ciò nonostante a conservare la loro dignità.”
E arriviamo al 1936. Anno importante. Non solo Orwell trova una moglie, ma (gioia per i suoi fun) in un paesino chiamato Wallington, trova anche la Bury Farm, la fattoria che, secondo molti, gli ispirò l’ambientazione de La fattoria degli animali. Il romanzo, pubblicato nel 1945, è la sua più importante denuncia allegorica di come, in Russia, si fosse arrivati alla più totalitarista e spietata delle dittature. Il nostro, arrivò a questa teoria militando nelle file del Partito Operaio di Unificazione Marxista, durante la guerra civile spagnola contro il dittatore Franco.
Sotto forma di metafora, Orwell mette in scena una parodia del comunismo sovietico, raccontata attraverso gli animali di una fattoria che mettono in atto una ribellione contro il crudele padrone umano. Tuttavia, saranno proprio i maiali a diventare come (e peggio) il padrone precedente, instaurando una nuova tirannia. Insomma, morto un Papa, se ne fa un altro.
“Tutti gli animali sono uguali. Ma alcuni sono più uguali di altri. …Le creature di fuori guardavano dal maiale all’uomo, dall’uomo al maiale e ancora dal maiale all’uomo, ma già era loro impossibile distinguere tra i due.”
Per quanto fosse un socialista democratico, le sue simpatie non si estendevano ai comunisti che, anzi, aborriva. Nel 1949 compilò una lista di artisti che sospettava avessero simpatie sovietiche, e la passò all‘Information Research Department inglese. Nella lista figurava, tra gli altri, Charlie Chaplin.
Curiosità:
Orwell odiava le riviste di moda femminili, ma per dover di lavoro, se le dovette sciroppare (al tempo teneva una rubrica quotidiana intitolata As I Please sul Tribune). Così criticava le riviste di moda americane: I fianchi stretti sono generali, e le mani snelle e non prensili come quelle di una lucertola sono abbastanza universali.

4 commenti
Questo articolo di ritratti d’autore li leggo sempre molto volentieri.
È strano vedere come persone di successo nella loro vita personale hanno parecchia infelicità. Fa riflettere.
Grazie
Grazie per il commento 🙂
In effetti su questo autore ci sarebbe molto altro da scrivere!
Scorrevole lineare e gradevole. Complimenti all’autrice.
Molte grazie 🙂