Per la rubrica Ritratti d’Autore, oggi parliamo di Grace Paley (1922-2007).
Se vivessimo nel West Village di New York, in pieno 1986, vedremmo per strada un’arzilla sessantenne con i capelli in disordine e le scarpe da ginnastica, intenta a distribuire volantini e a discutere di apartheid, di femminismo, di nucleare e di diritti dei più deboli, a chiunque abbia un paio d’orecchie.
Parliamo di Grace Paley, l’intellettuale pacifista e femminista più affascinante del secondo novecento.
Dall’alto del suo metro e cinquanta di altezza, ha talmente scosso gli animi, che lo stato di New York si è inventata un’onorificenza tutta per lei: quella di scrittrice ufficiale della Grande Mela.
La Paley è considerata una maestra delle short stories americane, tanto da essere ammirata da scrittori del calibro di Philip Roth e Soul Bellow che ne lodavano lo stile narrativo, piuttosto singolare. E qual era questa particolarità? Ebbene, attraverso le sue storie, la Paley, ha raccontato (o meglio: denunciato) la vita, la povertà, l’emarginazione, le difficoltà e la fragilità delle classi operaie, degli immigrati e degli emarginati dei quartieri più poveri di New York.
Sai che novità, direte voi. Eppure la novità è data proprio dallo stile narrativo usato da questa scrittrice. I dialoghi sono briosi, ironici, conditi da azioni, da slang, da parlate cacofoniche in cui il linguaggio si mescola a idiomi come l’ebraico, l’afroamericano, l’irlandese… insomma una sorta di parlamento europeo dei poveri, e senza interpreti.
E lo ha potuto fare perché quei luoghi e quelle persone, lei, le conosceva davvero.
Figlia di immigrati ucraini, Grace Paley, viveva nel Bronx. Suo padre, Isaac, era un medico russo che imparava l’inglese leggendo Dickens e, insieme alla moglie, era un socialista impegnato.
E la mela, si sa, cade poco lontano dall’albero. Comunque, Grace da bambina era un maschiaccio dalla lingua piuttosto tagliente (a Roma si direbbe biforcuta) e dalla battuta pronta.
Frequentò il college e la New School, ma non prese mai la laurea. In realtà la scrittura non è mai stata al centro della sua vita. Ebbe due mariti e due figli. Lavorava part time come dattilografa e nei momenti liberi portava i bambini al parco. E fu proprio qui che ebbe l’ispirazione per le sue storie:
“Grazie a Dio ero abbastanza pigra da trascorrere tutto quel tempo a Washington Square Park. Dico pigra ma ovviamente è stato un po’ estenuante correre dietro a due bambini. Se non avessi trascorso però quel tempo nel parco giochi, non avrei scritto molte di quelle storie.”
Pubblica la sua prima raccolta nel 1959 con il titolo: Piccoli contrattempi del vivere. Ed è qui che Grace Paley impone la sua voce, e lo fa in modo beffardo e allo stesso tempo fresco e dinamico, regalandoci uno spaccato d’America di quegli anni.
I dieci racconti che compongono il volume si concentrano sugli abitanti di un chiassoso quartiere di New York dove “rimbombano i montacarichi, sbattono le porte, rompono i piatti; ogni finestra è la bocca di una madre che chiede alla strada di tacere: vai a pattinare da qualche altra parte. Vieni a casa”.In queste storie troviamo tutta la malinconia e lo spirito dei personaggi che, se da una parte devono accettare il loro destino votato al lavoro e al sacrificio, dall’altra devono risollevarsi da soli.
La raccolta ha un discreto successo, ma ci vogliono sei anni prima di vedere un’altra pubblicazione: Enormi cambiamenti all’ultimo momento e, nel 1985, Più tardi nel pomeriggio cui segue la raccolta di poesie: Fedeltà.
Ritroviamo i protagonisti del suo esordio, tra cui Faith, l’alter ego della scrittrice, e le sue amiche. Tutte vogliono/devono credere in un futuro migliore, anche quando ci sono delusioni o amarezze. Il filo ricorrente è la saggezza (femminile, ovviamente), che ripudia la guerra e l’estremismo.
La particolarità è che questi racconti spesso hanno dei finali aperti. E c’è un motivo: la Paley riteneva che un finale togliesse speranza, per cui
“Ogni persona reale o inventata, merita un finale aperto della vita.”
A ben vedere, Grace Paley non è stata particolarmente prolifica; infatti chi le chiedeva il motivo di tanta reticenza alla pubblicazione rispondeva: L’arte è troppo lunga, la vita troppo breve.
Come darle torto?
In realtà di se stessa ammetteva due cose fondamentali e poco carine: di essere pigra, e di poter ottenere in poche storie, lo stesso risultato dei suoi prolissi colleghi romanzieri.
La verità era che Grace aveva altre cose da fare con il suo tempo.
Infatti, in questi anni, quando non insegue i figli nel parco o cambia i pannolini, distribuisce volantini a favore del movimento per le donne, protesta contro la guerra in Vietnam, si oppone al nucleare, partecipa alle marce sul Campidoglio (ma senza sciamano), viaggia all’estero: si reca in El Salvador e in Nicaragua per incontrare le madri dei dissidenti scomparsi; è stata arrestata durante un sit-in in una centrale nucleare del New Hampshire… e altre cosucce del genere, che difficilmente troviamo nei manuali della perfetta casalinga, per intenderci.
Tutte queste esperienze le ritroviamo in L’importanza di non capire tutto, ovvero una raccolta di racconti, poesie, articoli, saggi, cronache di battaglie pacifiste, delle missioni in Vietnam fino all’opposizione alla Guerra del Golfo. Praticamente, quasi un secolo di battaglie.
Per l’F.B.I. era una comunista, pericolosa ed emotivamente instabile. Il suo fascicolo è stato tenuto aperto per trent’anni. Per dire.
Nel maggio 2007, è andata a Burlington per protestare contro la presenza americana in Iraq. Aveva ottantaquattro anni ed era sottoposta a chemio per cancro al seno. Una spina nel fianco fino all’ultimo.
Una volta confessò: “Penso che avrei potuto fare di più per la pace se avessi scritto sulla guerra, però mi è capitato di amare troppo protestare per strada”.
E così ha fatto.
In una delle sue ultime interviste espresse il suo ideale di mondo per i suoi nipoti:
«Un mondo senza militarismo e razzismo e avidità, e dove le donne non hanno bisogno di combattere per il loro posto nel mondo».
Amen.

3 commenti
Molto bello questo ritratto di autore!
Ma soprattutto bello l’esempio di vita che ci viene dato…
grazie!
Molto bello l’articolo su Grace Paley, molto toccante, ma ancor più bello l’esempio che lei ci offre con la sua vita e la sua missione.