Per la rubrica Ritratti d’Autore oggi siamo con Vladimir Nabokov (1899-1977).
Il celebre autore di Lolita era di origini nobili e russe. Con la rivoluzione d’ottobre del 1917 fece appena in tempo a scappare prima in Inghilterra poi in Germania, infine in America.
La sua formazione letteraria, quindi, ha risentito fortemente di questo girovagare, e infatti nei suoi primi lavori ritroviamo quello stile lirico tipicamente occidentale e, allo stesso tempo tragico come vuole la tradizione russa.
Nonostante fosse in terra straniera e parlasse fluentemente inglese e francese, i suoi primi scritti vennero pubblicati in russo e con lo pseudonimo di Sirin. Siamo a Berlino nei ruggenti anni’ 20 e il nostro acquista una certa notorietà.
In questo periodo conosce e sposa Véra Slonim, anche lei esule russa ed ebrea. Vale la pena spendere due parole su questa donna assai particolare che faceva di tutto per non lasciare traccia del suo passaggio, neanche fosse una spia della Spectre; faceva di tutto per non attirare l’attenzione e distruggeva qualsiasi cosa scritta da lei: dalle lettere a Vladimir alle cartoline spedite alla madre.
La sua dedizione alla causa del marito la portò a trasformarsi in: agente letterario, archivista, dattilografa (copiava a macchina i manoscritti di Vladimir), segretaria (controllava la posta e rispondeva per lui), autista, guardia del corpo, (girava armata), portavoce, beta lettrice ed editor.
Riguardo il cucinare, stirare, tenere in ordine la casa, non si sa nulla.
Insomma, faceva in modo di alleviare il marito dalle molte incombenze affinché facesse la cosa più importante e redditizia per loro: scrivere. Viene il sospetto che Stephen King si sia ispirato a lei per la protagonista di Misery non deve morire.
Comunque la cosa funziona; dal 1925 Nabokov pubblica: Maria, cui segue Re, donna, fante, e nel 1930, La difesa Luzin, in cui si ispira a un giocatore di scacchi (argomento preferito di Nabokov) il quale finisce per suicidarsi. La particolarità del romanzo è che l’avversario di Luzin si chiama Salvatore Turati, che deriva dal nome di un grande entomologo: Emilio Turati. Perché Nabokov oltre agli scacchi aveva un’altra grande passione: le farfalle. Era lui stesso un accreditato e richiestissimo studioso.
Poco dopo vede la luce (scusate il gioco di parole) il romanzo: L’Occhio, in cui il protagonista, un esule russo, tenta il suicidio e, creduto morto, osserva la vita dei suoi connazionali con il proposito di capire cosa pensavano di lui. Qui il filo conduttore è la costruzione della propria identità sociale.
Il nostro si diletta anche con il poliziesco: Camera Oscura e poi con un romanzo particolare: Gloria in cui un altro esule russo le prova tutte per affascinare una giovane ragazza che forse è il preludio alla più celebre Lolita. Queste pubblicazioni gli danno notorietà, soprattutto all’interno della cerchia dei suoi connazionali letterati.
Nabokov non è per tutti. Questo va detto. I temi che predilige sono la contrapposizione del reale con la fantasia, l’ossessione per il sesso, il falso perbenismo moralista, il vizio del gioco e le altre derive sociali come anche la solitudine.
La solitudine è il campo da gioco di Satana.
Sono temi profondi che lui interpreta con notevole eleganza e creatività linguistica, giocando con le parole, le metafore e una sottile ironia, il tutto condito da uno stile ricco e complesso che ha reso Nabokov venerato dall’intellighenzia, specialmente accademica.
Lo stile e la struttura sono l’essenza di un libro; le grandi idee sono inutili.
Intanto la famiglia cresce, nel 1934 nasce il loro unico figlio Dimitri che, col tempo si rivelerà un viziato perdigiorno, irritante e buono solo a scialacquare i soldi del padre. Tentò la carriera di cantante lirico, poi quella di alpinista, pilota d’auto e playboy. Ci vorrà un bruttissimo (e molto sospetto) incidente d’auto per farlo ravvedere.
Diventerà il miglior traduttore di suo padre. E infatti, tutti i romanzi di Nabokov, sono stati tradotti a partire dagli anni 60 in poi.
Ritorniamo a noi; in Germania il clima leggermente nazista inizia a farsi pesante, e i Nabokov che ormai hanno una certa dimestichezza con le rivoluzioni, emigrano in America. Dal Massachusetts allo stato di New York, Vladimir insegna letteratura russa e rimane a dir poco sconvolto dalla traduzione pressapochista delle opere dei suoi illustri connazionali, così decide di ritradurle tutte e in modo radicale.
“Il traduttore deve restituire fedelmente il testo, anche con quelle ripetizioni che tanto irritano il purista.”
Con questo motto, restituisce alle stampe Dostoevskij, Gogol’, Puškin e tanti altri contribuendo in modo notevole alla diffusione della cultura russa.
Nel frattempo studia la realtà americana. Uno come lui, maturato in due continenti, non può rimanere insensibile a questa società così piena di sfaccettature e contraddizioni.
Soprattutto Nabokov rimane impressionato dall’individualismo americano fortemente money-oriented, come direbbero gli economisti, e così facilmente preda delle seduzioni commerciali, eppure così attenti alle convenzioni sociali.
Questi pruriti perbenisti finiscono per fare da sfondo al suo romanzo più celebre: Lolita che il nostro aveva già in mente da un bel po’. Siamo a metà anni ’50 e il romanzo gira attorno una torbida relazione tra un maturo professore e una ragazzina dodicenne un zinzino disinibita.
Il manoscritto viene rifiutato da molti editori, nonostante il nome dell’autore fosse conosciuto. Eppure nessuno se la sente di pubblicare una storia così scabrosa che si ispirava oltretutto a un fatto realmente accaduto: nel New Jersey del 1948, una dodicenne venne rapita da un uomo sotto mentite spoglie e costretta a viaggiare attraverso ventuno stati. Durante la prigionia, venne violentata e, una volta liberata, la comunità, (tutta gente moralmente per bene e politically-correct naturalmente), non esitò a trattarla come una “adescatrice” e, quindi, soggetta al pubblico ludibrio.
A portare in giro il manoscritto è la moglie tuttofare di Nabokov la quale, a causa del Comstock Act del 1873 che considerava criminosa la distribuzione di oscenità di qualsiasi tipo a mezzo servizio postale, si trascina dietro le 459 cartelle, editore per editore fino a quello giusto: Olympia Press, specializzata in letteratura erotica.
Il successo è planetario. Lolita offrì una perfetta fotografia interna dei miti, delle ossessioni represse – soprattutto sessuali – degli Stati Uniti. Visto il trionfo e l’interesse straordinario per il tema, Nabokov lo riprese, sia pure in maniera diversa, in altri suoi romanzi: Pnin, Fuoco Pallido, Ada o Ardore, in cui affronta le più nascoste tentazioni dell’animo umano.
Insomma, il filone Lolita prosegue.
Nabokov passa i suoi ultimi anni in Svizzera con l’idea di dare alle fiamme l’ultimo romanzo incompiuto: L’originale di Laura. Ma al figlio piangeva il cuore (e il portafoglio) alla sola idea, così lo fece pubblicare. Postumo.
Curiosità
Malgrado l’apparenza gelida e da agente super segreto della moglie Véra, in realtà Vladimir Nabokov la apostrofava molto spesso con vezzeggiativi tipo: topina, scimmietta, bestiolina di fuoco, ciuffetto, cuccioletta e così via.

2 commenti
Bel servizio e molto interessante.
Grazie per l’approfondimento che dai sempre su diversi autori. Ottimo lavoro