Guadine, 24 agosto 1944-2022: sono passati 78 anni ma la memoria, in quel paesello sul torrente Renara, è ancora viva.
Da anni raccolgo testimonianze di gente sopravvissuta agli orrori dell’ultima guerra. Soprattutto di donne, avviando una profonda narrazione sulla “guerra vissuta dalle donne”.
Ho trascorso alle Guadine alcune giornate, lontano dall’afa estiva e le storie sono emerse spontanee, come l’acqua che scorre e nessuno può fermare.
Ho scritto il libro “Albertina e le altre…” con il proposito di aggiungere altre storie alla narrazione, e lo farò. Intanto, su Guadine c’è questo:
“ Il paese di Guadine era stracolmo di gente sfollata dalla città e noi avevamo dato alloggio alla famiglia di Ercole Dini, composta dalla figlia Santina, il marito Conti e i sei figli, quattro maschi e due femmine. Quel giorno, in casa, eravamo io, mio fratello Umberto, la zia Fidalma, la nonna paterna Maria, lo zio Romeo a letto per il mal di schiena, Ercole Dini che non poteva camminare da solo e sua figlia Santina. In quel periodo non si parlava d’altro che delle atrocità che i nazisti e i Mai Morti avevano commesso a Forno il 13 giugno, trucidando una settantina di persone. In quell’estate avevano compiuto altri efferati eccidi a Canevara, alle Capannelle e in altre zone di Massa. E se ne parlava nelle case, nelle strade, ovunque. La gente aveva paura”.
“Stavo giocando nel greto del torrente – interviene la Diana (1935) -. Ricordi Pietro? Avevo nove anni e mi divertivo a sguazzare nell’acqua fresca delle pozze come un’anatra. Faceva un gran caldo, quel giorno. Ad un tratto, sentii un fischio lontano, come un sibilo di spari di mitraglie. Mi giunse all’orecchio quasi trasportato dal vento che saliva lungo il fiume. Pensai: “Oddio! Saranno mica i tedeschi?”
Ne sentivo parlare, dei nazisti, della ferocia spietata contro le popolazioni e, come tutti, vivevo nel terrore.
“Ci sono i tedeschi!” – dissi giù alle pozze. “Ma che vai farneticando? – mi risposero. Le persone che erano lì non mi credevano, forse perché ero un bambina. Ma io ero certa di quello che avevo sentito e stavo con l’orecchio teso. Un secondo sibilo mi fece sussultare: fui la prima a sentire quei colpi di mitraglia, quel giorno alle Guadine.
Di corsa, risalii dal torrente: “Mamma! Mammaaa! – corsi in casa urlando -. Stanno arrivando i tedeschi! Ho sentito gli spari!” Mia mamma cercò di tranquillizzarci e di mettere in salvo la biancheria portandola nella selva di castagno.
“Vieni, mettiti addosso questi vestiti – tremava, povera mamma, mentre mi metteva addosso un vestito sopra l’altro, un vestito sopra l’altro, e io morivo di caldo. La stessa cosa fece con mia sorella Maria, che aveva 13 anni. Poi, anche la mamma indossò ben cinque vestaglie, una sull’altra. “E se ci buttano fuori e bruciano la casa? – diceva – almeno qualche vestito dobbiamo salvarlo!”
Eccoli, i militari.
“Tutti fuori”. Ed eravamo in fila, nella strada, sotto il tiro di cinque mitragliatrici puntate. Tutto intorno era già un rogo: i pagliai scoppiettavano e dalle case uscivano colonne di fumo. Ci diressero verso Ponte di Forno. Mia mamma sapeva che suo babbo, nonno Ercole, era rimasto in casa in quanto non poteva camminare da solo. “Avviatevi – ci disse -. Avviatevi con la zia. Poi vi raggiungo”. L’ho rivista dopo 64 anni, quando fu riesumata per accogliere le spoglie di mia sorella”.
Diana è commossa. E’ difficile raccontare quei terribili momenti:
“A piedi nudi raggiungemmo dei parenti al Crocello, a Massa. Seppi della strage e della mamma che non sarebbe più tornata da noi”.
“Quel giorno i nazifascisti arrivarono a Guadine a bordo di due automezzi e cominciarono a sparare. Lo zio Romeo – riprende Pietro(1936) – impedito dal suo mal di schiena, fece in tempo ad attraversare il fiume e dileguarsi nella selva di rimpetto. Noi, con la zia e la nonna salimmo al terzo piano. Esattamente qui, in questa casa – ammicca Pietro con insistenza -. Al secondo piano si fermò Ercole, raggiunto poi dalla Santina, rientrata in casa per portarlo in salvo.
I tre militari salirono le scale, che erano buie, e quando videro la sagoma di un uomo sul pianerottolo spararono. Ercole stramazzò a terra colpito a morte e sua figlia Santina, gridando, si gettò sul suo corpo: “Babbo, babbo – urlava. Nessuna pietà. I fascisti scaricano anche su di lei il fuoco delle loro mitraglie. Salirono inferociti al piano superiore, il terzo, dove eravamo noi. Uno di loro urlò “fuori”. Zia Fidalma mi stringeva la mano e mio fratello Umberto di quattro anni e mezzo scendeva accompagnato dalla nonna.
Davanti ai nostri occhi, Ercole e Santina. L’una sull’altro, mentre il sangue si allargava sul pianerottolo e colava lungo le scale. Un’immagine agghiacciante che non auguro a nessuno di vedere mai.
Completa la giornata la testimonianza di Giannina (1927):
“Ci usarono come scudo umano. Sapevano che a monte c’erano i partigiani e temevano un loro attacco. E così, dopo aver compiuto la strage e ridotto il paese in un rogo, ci obbligarono a scendere con loro fino a Ponte di Forno. Una volta fuori dalla vista dei partigiani, se ne andarono. Noi eravamo terrorizzati, non sapevamo se tornare a Guadine o andare verso la città”.
La commemorazione del 24 agosto prevede il ritrovo alle 21 al monumento ai caduti, alle Guadine. Accensione delle lanterne per ogni nome letto, stesa della Coperta della Pace, deposizione fiori.
Monologhi di Alessandra Berti, Giovanna Menchetti, Leandro Brilla e Giulia Cardi tratti da “Albertina e le altre…”.
Interventi Elisabetta Sordi vice presidente provincia Massa Carrara, Giorgia Garau, consigliera comune di Massa, Elena Emma Cordoni presidente Anpi Massa. Le musiche saranno di Marco Alberti. L’evento ha il contributo operativo di Nino Ianni e Sara Chiara Strenta.