Il ritratto di oggi lo dedichiamo al re del noir: Raymond Chandler (1888 – 1859).
Raymond Chandler nasce a Boston, ma all’età di otto anni i genitori divorziano e lui va a vivere con la madre in Inghilterra. La donna è molto autoritaria e ha pochi mezzi ma, con l’aiuto economico di uno zio, costringono il ragazzo a studiare contabilità (uno strazio infinito, credetemi). Terminati gli studi, madre e zio, obbligano il povero Raymond a partecipare ad un concorso presso l’Ammiragliato. Posto d’oro. E infatti si classifica e viene assunto. Va tutto bene? Neanche per idea. Il nostro cade in depressione, conti, fatture, tasse… per carità, e non siamo nemmeno in Italia. Si licenzia e fugge a Bloomsbury, appena appena la distanza giusta tra lui e lo zio incavolato.
Qui Chandler sbarca il lunario lavorando come reporter per alcuni giornali locali ma non è sufficiente per vivere, così a 24 anni, parte per l’avventura e torna in America. Gira la California, poi il Nebraska e di nuovo in California. Fa di tutto: raccoglie albicocche, aggiusta le racchette da tennis, un po’ di vagabondaggio infine viene a patti con la coscienza, ingoia il rospo con contorno di orgoglio e grazie a un amico, torna a fare il contabile alla Los Angeles Creamery che produceva latticini e mozzarelle. Per distrarsi, l’amico lo introduce nei circoli di scrittori e musicisti.
Nel 1918 lo raggiunge anche la madre, e nello stesso periodo, ad una festa, conosce l’amore della sua vita: Cissy Hurlburt. Tutto bene? Ancora una volta no. Lei è al suo terzo matrimonio, ha vent’anni più di lui e in passato aveva posato nuda senza particolare imbarazzo per pittori e fotografi. Mamma Chandler non fa in tempo a sacramentare per questo figlio degenere, che il nostro pensa bene di arruolarsi e farsi spedire in Francia giusto giusto per non sentire le urla di mammà. Ma siamo alla fine della prima guerra mondiale e dopo nemmeno un anno, Chandler ritorna in California tenendosi saggiamente alla larga da Los Angeles.
Ma certi amori, si sa, fanno dei giri lunghissimi e poi ritornano. E quando lui rivede, Cissy i due iniziano una relazione adulterina. Va detto che Chandler non conosceva la vera età della donna e che le cronache del tempo, la descrivono come molto attraente.
Per un po’ Chandler mette la testa a posto e si impiega alla Dabney Oil Syndicate. Siamo nei pieni ruggenti anni ’20, tutta l’America vive un boom strepitoso e lui in brevissimo tempo diventa direttore della compagnia e guadagna quattrini a palate, per la gioia dello zio. Poi la madre muore, Cissy divorzia e i due convolano a nozze. Tutto bene? Ni.
Dopo circa dieci anni di serenità, succede qualcosa. Non lo sapremo mai con certezza perché lettere e diari vengono bruciati dallo stesso Chandler. Si sa solo che il suo atteggiamento dei confronti della moglie cambia. Lui ha 44 anni, lei 62. Forse capisce di aver solo continuato il rapporto di sudditanza che aveva con la madre. Ma non è solo questo. La vita che conduce non è quella che sognava. Il lavoro soprattutto, alla fine realizza di essersi fatto risucchiare nell’ingranaggio che aveva cercato di evitare. Chandler entra in depressione, tradisce la moglie, beve e prende sbornie colossali pur di sfuggire dalla sua desertica realtà.
“Odiavo gli affari ma nonostante ciò alla fine divenni funzionario e direttore di una mezza dozzina di società petrolifere indipendenti …”
(Chandler, lettera a Hamish Hamilton, 10 novembre 1950)
Tutte esperienze che ritroviamo nei suoi romanzi. Tra assenteismo e ubriacature, arriva il licenziamento e arriva nel momento peggiore. Il mondo vive la depressione economica, sono anni duri per tutti e lui riversa la sua frustrazione scrivendo racconti brevi ma densi di colpi di scena, sparatorie, inseguimenti e dialoghi zeppi di slang popolari; le protagoniste, poi, sono sempre femme fatale, giovani, belle e senz’anima.
Il direttore della rivista Black Mask, Joseph T. Shaw, detto il Capitano, (in effetti era un ex capitano dell’esercito), a cui Chandler manda i racconti, fiuta subito la novità e gli propone una collaborazione.
È la svolta che aspettava. A quarantacinque anni, Raymond Chandler trova finalmente la sua strada.
Decisi così che quella poteva essere una buona maniera per imparare a scrivere narrativa e al tempo stesso guadagnare un po’ di soldi. Impiegai cinque mesi a scrivere un lungo racconto di diciottomila parole e lo vendetti per centottanta dollari. Dopo di allora non mi sono mai più voltato a guardare indietro…
(Lettera a Hamish Hamilton, 10 novembre 1950)
La sua capacità di raccontare lo squallore e la solitudine della vita tra corruzione, prepotenza e sopruso, inaugura uno stile completamente nuovo che rompe con tutti i cliché del passato. La crudezza delle sue storie, il linguaggio feroce del gangster che si trovano non solo bassifondi, ma anche nelle luminose e lussuose ville della California bene, gli fruttano la nomea del padre di un nuovo genere di letteratura poliziesca, quello Hard Boiled.
“Lei era quel tipo di bionda che avrebbe fatto fare a un vescovo un buco in una finestra di vetro opaco.” (R. Chandler)
Chandler esordisce con il racconto I ricattatori non sparano. Seguono altri storie: Un delitto imperfetto, Il testimone, Sangue spagnolo, la sorellina e tanti altri fino alla creazione del suo alter ego: il detective Philip Marlowe che appare per la prima volta nel romanzo: Killer in the rain.
Spendiamo due parole su questo personaggio che verrà poi interpretato magistralmente dall’attore Humphrey Bogart.
Philip Marlowe è un cavaliere dei tempi moderni che nasconde il suo lato sentimentale dietro una maschera di cinismo, è un uomo colto, ha pochi amici e una personalità complessa, molto diversa (e più completa) rispetto ai suoi “colleghi” omonimi; ma è soprattutto un uomo profondamente onesto e in grado di muoversi senza difficoltà nei meandri più oscuri di una Los Angeles notturna, fascinosa, lubrica e clandestina. Chandler lo descrive con la sigaretta perennemente in bocca, il cappello calato sulle ventitré e un bicchiere di whisky portata di mano.
Comparirà in 9 romanzi, ma il più famoso resta Il grande sonno del 1939, considerato un cult della letteratura americana.
Va tutto bene? Finalmente sì. Grazie alla scrittura Chandler smette di bere e, anche se ora guadagna pochissimo, il rapporto con la moglie torna sereno. All’uscita de Il grande sonno, tuttavia, pubblico e critica sono piuttosto tiepidi nonostante le grandi aspettative dell’editore. Ci vuole il fiuto di Hollywood, sempre alla ricerca di novità, affinché il detective Marlowe diventi l’icona del noir americano. Il film è un successo strepitoso, viene candidato a ben sette oscar e lancia la figura di Raymond Chandler come romanziere noir.
Seguono altri romanzi e altrettante pellicole cinematografiche: Addio mia amata, La finestra sul vuoto, La signora nel lago.
Ora che è un famoso, Hollywood gli propone di diventare anche sceneggiatore dei film tratti dai suoi romanzi. Persino Billy Wilder lo recluta per sceneggiare noir come La dalia azzurra o La fiamma del peccato.
Insomma, gli anni ’40 sono stati un successo dietro l’altro. Nel 1953 pubblica Il lungo addio con il quale Chandler avrà la soddisfazione di vedersi assegnato l’Edgar Award della Mystery Writers of America. Ma la festa dura poco, nel 1954 muore la sua adorata Cissy, il dolore lo fa precipitare di nuovo nell’alcool senza che riesca più a riprendersi. Muore di polmonite quattro anni dopo.
Curiosità
I produttori di Hollywood hanno spesso avuto un rapporto difficile con i romanzi di Chandler per via della massiccia (per i tempi) presenza di sesso, corruzione, pornografia e omosessualità.
2 commenti
Potrebbe definirsi, credo, il padre del Noir?
certamente!