Il ritratto della settimana è dedicato al veterinario-scrittore più amato del pianeta: James Herriot (1916-1995)
Il vero nome è James Alfred Wight, originario della città di Sunderland in Inghilterra. Suo padre era un direttore d’orchestra e suonava musica sul set di film muti, ma di seguire le sue orme James non ne aveva proprio voglia. Al dolce suono delle corde di un violino preferì il miagolio di un gatto (suoi animali preferiti, peraltro).
E così studiò veterinaria al collegio di Glasgow. Dopo la laurea, nel 1937, come molti suoi coetanei dovette fare i conti con la ricerca di un impiego. Scartabellando tra gli annunci di lavoro su un giornale, ne trovò uno che lì per lì gli fece storcere il naso. Si trattava di andare nello Yorkshire, a Thirks (la famosa Darrowby dei suoi romanzi). Un paesino di neanche 4000 abitanti in una landa di cui il nostro, aveva sempre sentito parlare molto cupamente e descritto come aspra, selvaggia, abitata da gente chiusa e di pochissime parole. Però questo passava il convento e, in un epoca in cui i suoi colleghi disoccupati a malapena sbarcavano il lunario facendo i garzoni di bottega, a lui non parve vero di avere addirittura un colloqui come aiutante veterinario.
Fu così che andò a lavorare alle dipendenze del dottor Donald Sinclair (di cui anni dopo divenne socio), anche lui traslato nei suoi romanzi col nome di Siegfried Farnon.
Onestamente la vita a Thirsk scorreva lenta, tranquilla e molto piacevole. Nessun sussulto, nessuno scandalo, niente di niente. L’unico avvenimento di rilievo fu il suo matrimonio nel 1941 con Joan Catherine Anderson Danbury, figlia di una proprietario terriero benestante.
Anche lei, come praticamente tutto il paese, venne inserita nei libri di Herriot.
A interrompere l’idillio ci pensò lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e il nostro, si arruolò nella RAF.
Il pallino di scrivere, però, ce l’aveva da un pezzo, ma rimanda oggi, rimanda domani, arrivò a cinquant’anni senza aver mai preso la penna in mano.
Per fortuna ci pensò la moglie a spronarlo; per i suoi primi racconti, James attinse ai ricordi di veterano di guerra o alla sua passione per il calcio, ma l’editore rifiutò di pubblicarli. Pare che non avessero mercato. Mica come l’utilissimo manuale del corsivœ di oggi, per dire…
James, tuttavia, non si diede per vinto e si rimise al lavoro con argomenti che conosceva assai meglio: gli animali. Dato che al tempo la legge proibiva di pubblicizzare i servizi dei veterinari, dovette usare uno pseudonimo e, tanto per non sbagliare, cambiò il nome alla città e a tutti i protagonisti del suo libro. Per sé stesso scelse l’alias di James Herriot.
Finalmente, nel 1966, venne pubblicato Se solo potessero parlare. Il successo fu notevole, e diventò mondiale quando varcò i confini inglesi nel 1970 con il titolo: Creature grandi e piccole.
In questo primo romanzo Herriot descrive i suoi inizi nello Yorkshire e fornisce uno spaccato meraviglioso di una Inghilterra a cavallo tra le due guerre, fatta di gente contadina, con tutti i suoi preconcetti, i dubbi, la diffidenza degli allevatori verso gli estranei soprattutto se da loro dipendono gli affari e, visto che gli affari erano legati a doppio filo con il bestiame, il veterinario era costantemente sotto una lente di ingrandimento. Ma, una volta conquistata la loro fiducia, si entrava a far parte della comunità con tutti i piedi.
Herriot descrive un mondo in cui la fatica di far partorire una mucca stando sdraiato in mezzo al fango, al gelo e per di più svestito, veniva superata dalla meraviglia di far nascere un vitellino. E poco importa l’aver perso l’orologio (non chiediamoci come) o uscirne fuori sporco e infreddolito.
Non esistevano termocoperte tra il ’30 e il ’40. Ed era un peccato, perché nessuno ne avrebbe avuto maggior bisogno dei veterinari di campagna.
L’intera storia di questo simpatico veterinario è costellata di gustosissimi e autentici aneddoti dove di inventato c’è davvero poco. Si passa dalla vecchina innamorata dei suoi gatti che James vedeva come pantere feroci, all’allevatore che si sente nonno all’idea di avere un nuovo agnellino.
James Herriot dipinge i protagonisti, sia umani che animali, con rara sensibilità. La scrittura è essenziale, ironica e con pochi orpelli; quello che viene fuori è una connessione profonda con la terra e chi la lavora e un tessuto sociale fondato sui sentimenti, sulla passione e con ritmi e dimensioni decisamente più umani.
Tutte le bestie giovani sono attraenti, ma l’agnello ha ricevuto una dose di fascino che è addirittura ingiusta nei confronti degli altri.
Magari a Pasqua, ricordiamocelo.
Nel 1973 esce Beato fra le bestie che replica il successo del precedente e racconta, in ordine cronologico, la vita di James allo scoppio della seconda guerra mondiale e il suo arruolamento che vedremo narrato più in dettaglio in Cose sagge e meravigliose.
Se però siete amanti dei gatti non potete non leggere le avventure feline di Olly e Ginny o Debbie o del cucciolo Rompitutto (un nome un programma) che Herriot descrive in Storie di gatti, se invece siete tipi da cane allora non vi resta che leggere Storie di cani.
In definitiva, di libro in libro, il piccolo paese di James Herriot è diventato così famoso che oggi ospita un museo a lui dedicato e visitato ogni anno da migliaia di turisti. Il 4 ottobre del 2014 gli è stata dedicata anche una statua in bronzo creata da Shaun Ages-Queen, che oggi si trova nello stesso giardino dove Herriot incontrò per la prima volta il suo futuro insegnante e mentore, Donald Sinclair, appunto.
Oltre a essere stato tradotto ovunque, i suoi romanzi sono stati adattati a film e serie TV e, tra i vari premi e menzioni c’è persino quello dell’Ordine dell’Impero Britannico. E pensare che Herriot nemmeno ci voleva andare nello Yorkshire…