Il ritratto di oggi è dedicato a Elisa Salerno (1873-1957)
Una vita in trincea, la sua, sempre in battaglia, sempre ignorata, sempre osteggiata. Da chi? Dal Vaticano. Amen. Per scegliersi un nemico del genere, viene da chiedersi: cosa avrà mai scritto?
Era una fervente femminista convinta di voler dare alla donna pari dignità con l’uomo. Non era socialista, né comunista, o fascista. Né si rifaceva al femminismo figlio della nascente rivoluzione industriale. Il suo punto fermo erano i Vangeli, unico testo che poteva rispettare la donna. Tutto il resto agiva contro la chiesa. Peccato che la chiesa abbia sempre agito contro di lei. Il bello era che pure lei non lesinava attacchi ai prelati.
“Dottori, Padri, Prelati, Pontefici scrissero infamie su infamie riguardo alla compagna dell’uomo…” e che “Non si può prendere in mano un libro della Chiesa nel quale sia parola sulla donna, e che non contenga qualche ingiuria antifemminista…”
Per forza che lor signori non erano d’accordo. E infatti, negli ultimi anni della sua vita, il Vescovo di Vicenza, dove Elisa viveva, finì per negarle il sacramento della confessione.
Andiamo con ordine.
Elisa nasce a Vicenza, la città era entrata da poco a far parte del Regno d’Italia. Suo padre, Antonio, possedeva alcuni mulini e commerciava in granaglie, sua madre, Giulia Meneguzzo, aveva portato in dote due case e un forno. Insomma, la famiglia era più che benestante. Purtroppo, dei nove fratelli, ne sopravvissero solo due: lei e Maria.
Entrambe le ragazze aiutavano sia in casa che nell’attività di famiglia, ma Elisa era cagionevole di salute e a otto anni si ritirò da scuola. La mancanza di salute venne compensata dalla caparbietà e dall’amore per il sapere. A quindici anni superò l’esame di quinta elementare con un insegnante di tutto rispetto: don Giuseppe Fogazzaro. Le cronache la descrivono brillante, graziosa e volitiva; la sua passione per lo studio la portò a imparare il greco, il latino, filosofia, pedagogia, tedesco, francese e pure i testi sacri. Oggi una laurea honoris causa non gliela leverebbe nessuno.
La sorella Maria, invece, era un zinzino più mondana: sposarsi giovane e dissipare il patrimonio personale fu un attimo. Ebbe due figlie che, chissà per quale motivo, preferirono andare ad abitare dalla zia Elisa.
Comunque sia, a 20’anni, la nostra, maturò la vocazione religiosa, ma ancora una volta la salute non le consente di entrare nell’Ordine delle Clarisse, così ripiegò sull’associazione della Pia Unione delle Figlie di Maria, composta per lo più da operaie e nel 1896 entrò a far arte della Società cattolica operaia femminile di mutuo soccorso di S. Anna. Nome lunghissimo ma che in definitiva apriva a Elisa la possibilità di intrecciare la sua vocazione cattolica con l’impegno sociale. Da qui ad abbracciare le tesi del femminismo di area democratico-cristiana, il passo fu breve.
Si trattava, in sostanza, di un cauto femminismo tollerato e appoggiato dalla chiesa, la quale da una parte assecondava le donne, dall’altra faceva orecchie da mercante riguardo le loro precarie condizioni di lavoro nelle fabbriche o davanti alla consuetudine per cui le donne erano ritenute incapaci di agire secondo ragione e sottoposte a potestà del marito o anche di gestire il proprio patrimonio. Partecipare alla vita pubblica, poi… era utopia. L’aspirazione più diffusa per le femmine era di sposare il miglior partito possibile e mettere al mondo un po’ di figli.
Davanti a tanta povertà intellettuale e materiale, Elise uscì allo scoperto e, dopo una conferenza nel 1903 alle Figlie di Maria della sua parrocchia, inizia la sua attività pubblica in barba a quanto sopra.
Nel 1905 avviò la collaborazione con il periodico locale di orientamento democratico-cristiano Il Vessillo bianco e, insieme a Elena Da Persico, dalle colonne del periodico Azione muliebre denuncia la mancanza di un’organizzazione cattolica a tutela femminile, insomma, una sorta di sindacato femminile. Si sa, da che mondo è mondo la parola sindacato accostato a soldi e chiesa, fa tanto scomunica.
Ma Elisa ci prese gusto e iniziò a collaborare anche con un quotidiano più intransigente: Il Berico, salvo poi mollare per incompatibilità con la linea editoriale del giornale.
Intanto vengono alla luce comportamenti maschilisti proprio da parte degli esponenti cattolici del vicentino.
Ma che strano. Così, nel 1908 uscì il suo primo romanzo con lo pseudonimo Lucilla Ardens: Un piccolo mondo cattolico. Apriti cielo.
La diocesi di Vicenza e il mondo cattolico si unirono contro il mortale nemico e costrinsero la povera autrice a fare atto di pentimento (tipo quello di Galileo Galilei) e di sottomissione accettando la censura ecclesiastica al giornale cui dette vita. Infatti, il sogno della Salerno era fondare un proprio periodico. Mandato giù il rospo, nacque La Donna e il lavoro, con il sottotitolo di Giornale delle classi lavoratrici femminili da cui partivano battaglie (e bordate) sull’emancipazione femminili. Il giornale, sostenuto dalle finanze paterne e dagli di abbonati, tra cui Antonio Fogazzaro, mirava a diventare il punto di riferimento del neonata associazione di azione cattolica femminile. Il primo numero uscì – manco a farlo apposta – il 24 settembre 1909, festa della Madonna della Mercede protettrice degli schiavi (suppongo che Elisa considerasse la donna alla stessa stregua).
Nonostante la varietà dei suoi argomenti (si scriveva anche di politica estera), il giornale non ebbe molta diffusione. Ma i pensieri di Elisa, erano rivolti altrove. Risale a questo periodo una sua profonda crisi spirituale, presumibilmente dopo aver studiato le teorie di Tommaso d’Aquino in relazione – indovinate un po’ – alla natura femminile. Ne fu particolarmente colpita e, nonostante la precedente battaglia contro il clero, ci ricasca e pubblica un opuscolo per la riabilitazione della donna in cui denunciava l’antifemminismo della patristica e della scolastica, rivolgendosi a Benedetto XV – (quello del 1916) – affinché intervenisse promuovendo una revisione complessiva della dottrina cattolica in materia.
Dieci punti per chi indovina come è andata a finire. Invece di suscitare interesse, il libello cadde nell’indifferenza generale, così la Salerno, l’anno dopo diede alle stampe uno scritto, dove accusava l’Unione fra le donne cattoliche d’Italia di mancanza di autonomia, provocando una nuova bufera di polemiche.
A questo giro la chiesa risponde sconfessando il giornale, la Salerno rifiuta di “sottomettersi” ancora e monsignor Ferdinando Rodolfi, le sospende una delle cose cui lei più tiene: i sacramenti.
Voi ci riderete sopra (oggi), ma per Elisa era come se le togliessero l’aria. Nonostante ciò, trattiene il respiro e continua la sua battaglia cambiando nome al giornale in Problemi femminili. Periodico nazionale delle operaie, impiegate, professioniste che affrontava tematiche ad ampio raggio sulla cittadinanza femminile: dal suffragio alla lotta alla moda «indecente»; dall’abolizione dell’autorizzazione maritale, alla parità di salario e, alla faccia della sottomissione, continuò a criticare il ruolo della Chiesa verso le donne. Nel 1921 Salerno diede alle stampe sia l’opuscolo Pro muliere, in cui prospettava una sorta di regolamento morale per un’associazione cattolica femminista, sia il romanzo Al bivio, in cui illustrava il dissidio femminile tra la prospettiva del matrimonio e della maternità e la scelta, alla fine vincente, dell’impegno sociale.
Il lievissimo filo di ragnatela che ancora la ancorava alla chiesa salta nel 1925 quando Elisa rincara la dose criticando il commento di monsignor Antonio Martini verso i testi sacri, e il catechismo dello stesso vescovo Rodolfi, quello che le aveva tolto i sacramenti. Questi ultimi andarono di censura e cesoie ma lei, pur di far valere le proprie ragioni, non esitò a dichiararsi devota del nascente regime fascista, senza risultati apprezzabili. Riuscì a pubblicare solo: Commenti critici alle note bibliche antifemministe in cui si scagliava contro l’antifemminismo del pontificato di Pio XI. Insomma, i nemici se li sceglieva bene. Infatti per i vent’anni successivi, non pubblicherà più nulla.
Nonostante l’ostracismo clericale, la censura fascista e i gravi problemi economici che la famiglia stava vivendo, continuò a scrivere. Moltissimi suoi lavori, tra cui Due sorelle, un saggio intitolato Neo antifemminismo, Storia della musica sacra in rapporto del diritto della donna e Le tradite, con cui espresse il suo sostegno alla battaglia per l’abolizione delle case chiuse, verranno pubblicati dopo la guerra.
Furono anni amari in cui lei ripiegata su se stessa, cercava nella fede la forza di andare avanti. Un po’ di compagnia dovettero dargliela le nipoti, il che non migliorò il bilancio familiare. Questo non le impedì di scrivere lettere a tutti coloro che avevano un indirizzo. Dai domenicani al Papa, quello nuovo: Pio XII.
Elisa Salerno rimase onesta con se stessa e i suoi ideali, spese tutta la sua vita per l’affermazione della dignità della donna contro chiunque voleva ridurla a stato di inferiorità. Morì emarginata e povera nel 1957.