Cast “all black” assolutamente eccezionale, una storia fra emancipazione femminile e superamento del lutto. Black Panther: Wakanda Forever spinge la Marvel al suo meglio
È l’estate del 2020 e Chadwick Boseman, giovane interprete di Black Panther, decede a causa di un bruttissimo tumore del quale non aveva mai parlato con la stampa e l’opinione pubblica. “La scomparsa di Chad ci ha colpiti tutti nel profondo” dirà il regista Ryan Coogler “il senso di solitudine è stato acuito dalla pandemia. Ritrovarci sul set ha voluto dire poter elaborare il lutto insieme, abbracciarsi nel suo nome”.
Black Panther: Wakanda Forever è dedicato a lui, è un film a suo modo poetico interamente dedicato alla scomparsa di Boseman tanto nella vita reale quanto nell’universo Marvel.
Il lungometraggio, di circa 167 minuti, si apre proprio con Shuri (Letitia Wright), sorella di T’Challa (Chadwick Boseman), che cerca disperatamente la cura per una malattia che lo sta stroncando. Poco dopo vediamo arrivare la regina Ramonda (Angela Bassett), che china mestamente il capo.
Inizia così il sesto film della Multiverse Saga; un prologo amaro che ci getta nel clima luttuoso che attraverserà come un filo rosso l’intera storia fino a sciogliersi solo al momento dei titoli di coda sulle note di Lift me Up di Rihanna poco prima di una struggente scena post credit.
Dopo la scomparsa del Balck Panther, il Wakanda è preda degli attacchi esterni da parte delle Nazioni ormai sicure dei giacimenti di vibranio conservati in quelle aree. Non si tratta dell’unica minaccia: Namor (Tenoch Huerta), un mutante anfibio che vive negli oceani nonché leader della città sottomarina di Talokan, emerge dagli abissi con una potenza devastatrice per dichiarare guerra al regno in superficie. Saranno Shuri, Ramonda, la giovane Rissa (Dominique Thorne) – futura Iron Hearth, alla quale Disney Plus dedicherà degli episodi stand alone – e le Dora Milaje a cercare di fronteggiare le nuove ostilità.
Sono quasi più di due ore di film in cui l’aspetto supereroistico viene quasi relegato ai margini, indirizzate con un interesse relativo per le scene d’azione e dove Coogler appare tutto assorbito dal tema del superamento del lutto, una morte che ha lasciato un grande vuoto tanto fisico quanto spirituale. “Anche gli eroi piangono” ha detto il regista, ce l’aveva già fatto vedere Avengers: Endgame (2019) dei Fratelli Russo, ma il pianto di Wakanda Forever è più profondo, più simpatetico.
Come nel precedente Black Panther (2018), il film dedicato alla Pantera Nera ha un respiro tutto suo, quasi una tendenza autoctona che sembra inerirlo a malapena nelle vicende più grandi della Multiverse Saga. L’opera di Ryan Coogler è tanto controcorrente quanto incantevole, emotivamente impattante e visivamente originale: si pesca di nuovo dal bacino dell’estetica della cultura africana e da un certo immaginario afro – futurista, mescolati stavolta con il folklore degli antichi Maya.
Il regista dirige un cast corale “all black” costantemente all’altezza, senza sbavature: Angela Bassett si supera nel ruolo di Ramonda, Letitia Wright si prende la scena senza apparire invasiva, Dominique Thorne alleggerisce, con una parte a tratti comica, il clima di un film che altrimenti si sarebbe preso troppo sul serio. Tenoch Huerta risulta, a conti fatti, uno degli antagonisti migliori dell’MCU, un personaggio del quale comprendiamo psicologicamente motivi e azioni, impersonato da un attore che si prende la ribalta di ogni scena a lui dedicata e apparendo perciò un’ottima acquisizione del cast.
La sceneggiatura è in tipico stile Marvel, dove ci vuole un’ora e mezza per costruire conflitti e problematiche poi risolte spicciamente negli ultimi 30 minuti. Il soggetto ha il pregio però di mettere in primo piano uno “struggente spaccato che mescola perdita, lutto, vendetta, redenzione e perdono, assumendo uno spessore non scontato per un cinecomic” (Wired.it), ma anche di dare voce a personaggi in gran parte femminili che, proprio perché si trovano in un momento di disorientamento e difficoltà, non possono non intervenire con un approccio matriarcale, così carismatico e al contempo arcaico.
Il lavoro svolto sulla colonna sonora è certosino, e non solo per le due tracce conclusive cantate da Rihanna – tornata sulla scena musicale dopo circa 6 anni di stop -, ma anche per le composizioni di Ludwig Goransson (già premio Oscar nel 2019 per Black Panther), che amalgamano pop e folk.
Di questa Quarta Fase, ad ora, Black Panther: Wakanda Forever, proprio per il suo carattere tanto incisivo rispetto alle trame della Multiverse Saga quanto per la sua tensione a rimanere un film a sé, con una sua anima e un suo pathos, risulta uno dei miglior lavori insieme ad Eternals (C. Zhao, 2021) e Doctor Strange nel Multiverso della Follia (S. Raimi, 2022), un film che immette il pubblico in “un grande gioco fantasy e action non solo per chi ama il fumetto” (Laura Delli Colli).
Un grande tributo a Boseman e un grande tributo al cinema che, sì, può farti vivere per sempre.