Il ritratto della settimana lo dedico al grande (e riscoperto) John Fante (1909-1983). Scrittore e sceneggiatore statunitense di umilissime origini italiane.
Infatti Fante era proprio figlio di quell’immigrazione povera ma piena di speranze di fine ‘800. I suoi libri sarebbero rimasti sconosciuti in Italia se non fossero stati tradotti da filantropi e mecenati come Pavese e Vittorini che, negli anni ’50, avevano le mani in pasta nella narrativa americana e un gran fiuto per il talento. E John Fante di talento ne aveva da vendere anche se i frutti del suo lavoro (leggasi quattrini) arrivarono postumi. Ma sarebbe rimasto sconosciuto anche in America se non fosse stato per Bukowski che ne 1978 incappò casualmente in un suo romanzo e ne rimase folgorato tanto da definire Fante come il narratore più maledetto d’America. Pur di spingere la sua casa editrice a ristamparne le opere, da lungo tempo fuori catalogo, giunse a minacciare l’editore di non consegnare il manoscritto del suo nuovo romanzo.
Andiamo con ordine. John Fante nacque a Denver in Colorado, ma cresce a Boulder. I genitori erano la coppia peggio assortita del mondo: suo padre era originario di Torricella Peligna (nelle Marche) e John lo ha sempre descritto come l’anti esempio del padre modello. Egli era nell’ordine: un muratore, un alcolista, un violento, un bestemmiatore fantasioso e un adultero. Per contro, la madre era un donnino riservato, silenzioso e con il rosario sempre in mano. Questo continuo persistente contrasto tra i genitori e le ristrettezze economiche in cui viveva, lo ritroviamo in tutti i racconti di Fante. La figura del padre, in particolare, è sempre stata ammirata e combattuta. Da un lato lo temeva e lo odiava, dall’altro ne cercava l’approvazione e l’amore.
Studiò dai gesuiti e si appassionò ai testi di Sant’Agostino. Forse è per questo che ogni tanto ritroviamo nei suoi scritti un certo timore nei confronti della legge divina. La quale legge, però, non gli impediva di venir coinvolto in risse coi fiocchi, del resto, buon sangue non mente. Pare però che fossero per legittima difesa contro un gruppo di bulli che lo avevano preso di mira per via delle sue origini.
Tra una scazzottata e l’altra si diploma con l’idea di andare all’università ma abbandona dopo tre mesi per seguire le “virili” orme paterne in cantiere. Per un po’ col suo vecchio le cose vanno bene ma i soldi sono sempre pochi, forse per questo Fante passa il tempo libero nella biblioteca civica di Boulder. Qui incontra Henry Louis Mencken, direttore dell‘American Mercury, uno dei più prestigiosi mensili letterari del tempo.
Con lui, Fante trova un mentore, un amico, una guida. Mencken intuisce le potenzialità di Fante e lo stimola a prendere in mano il proprio destino. Così, la partita col padre muratore si chiude con Libri 1- mattone 0 e lui vola a Los Angeles. Ne rimane così colpito che ne farà il teatro prediletto dei suoi romanzi.
Le cose però non sono rose e fiori. Vive in un bucolocale e per aiutare la famiglia si impiega in un conservificio di pesce che troveremo descritto nel suo romanzo La strada per Los Angeles e, ciliegina sulla torta: Fante Senior, scappa di casa.
Nel frattempo, il nostro, ritenta la strada dell’Università, entra nell’associazione letteraria degli Skalds si innamora di Dostoevskij e scrive per il giornale del campus. Ma non funziona nemmeno qui. Sono momenti duri, i soldi scarseggiano lui cambia casa, lavori e donne. Quest’ultime un po’ troppo di frequente. Per un po’ è tormentato dall’idea di essere incapace di amare o di creare legami sinceri e duraturi proprio come suo padre. L’unica cosa stabile è la sua amicizia con Mencken a cui continua a mandare racconti. È a lui che si rivolge quando pensa di non farcela o quando i dubbi esistenziali hanno la meglio.
La fuitina del padre, intanto, era durata appena un anno; il fedifrago torna a casa con la coda tra le gambe e John entra nel vivo della sua attività letteraria come se, all’improvviso, si fosse scrollato tutto di dosso.
Legge di continuo e di tutto, inizia a frequentare scrittori e giornalisti come Carey McWilliams e Ross Willis, uno dei capi della MetroGoldwynMeyer. Il trio sarà inseparabile, sia nel lavoro che nelle bevute. In questo periodo inizia anche la collaborazione con Hollywood in qualità di sceneggiatore, un lavoro che ama solo il giorno di paga. Arrivò a definirlo:
Il lavoro più disgustoso del regno di Cristo
Va detto che l’ambiente in quegli anni era fortemente politicizzato e lui non era tipo da allinearsi a qualsivoglia schieramento, aggiungiamoci che non aveva peli sulla lingua, che non si interessava minimamente delle questioni sociali e che la diplomazia non era il suo forte. Insomma, la targa di “amicone dell’anno” non l’ha mai vinta. In questo periodo ebbe una rovente storia d’amore con una modella messicana di nome Marie Baray che sarà la sua musa e gli ispirerà il personaggio di Camilla Lopez, nel suo romanzo più famoso: Chiedi alla polvere.
Forse è in questo periodo che nasce in lui, la voglia feroce di raccontare il mondo che conosce: una Los Angeles spietata dove messicani e italo-americani sono gli ultimi, gli emarginati e la città è una landa fatta di precarietà in cui le vetrine lussuose sono uno schiaffo in faccia per chi non ha nemmeno di che vivere. Piano piano nasce l’idea di un alter ego letterario: Arturo Bandini che diventa il portavoce dei poveri, degli adolescenti, di ambizioni frustrate, di tutti coloro che cercano una patria ovvero un posto dove realizzare il loro personale sogno americano, che sia quello di diventare ricchi e famosi o quello di avere un cognome inglese, come sogna Camilla Lopez.
Forte di tutte queste sensazioni e della sua voglia di riscatto, John Fante inizia a scrivere il suo primo romanzo: La strada per Los Angeles e lo conclude nel 1936 ma lo pubblica cinquant’anni dopo. (Una strada molto lunga, direi). Nel 1937 si trasferisce in uno scantinato di Bunker Hill, si innamora e sposa Joyce Smart con cui avrà ben quattro figli. L’anno successivo pubblica: Aspetta primavera, Bandini.
Il romanzo, raccontato in terza persona, è lo specchio della sua vita. Il protagonista, Arturo Bandini, è figlio di immigrati, ha una madre paziente e succube, un padre-padrone e alcolizzato. Attraverso le sue pagine, il protagonista offre uno spaccato di vita amara raccontata con un certo umorismo che fa ridere, ma a denti stretti. I testi sono farciti di parole in italiano, alcune incomprensibili per gli americani. Fante non ha mai rinnegato le sue origini, al contrario ne ha fatto il punto di forza dei suoi romanzi.
“Di nome faceva Arturo, ma avrebbe preferito chiamarsi John. Di cognome faceva Bandini ma lui avrebbe preferito chiamarsi Jones. Suo padre e sua madre erano italiani ma lui avrebbe preferito essere americano. […] Aveva la faccia lentigginosa, ma avrebbe preferito averla pulita. Frequentava una scuola cattolica ma ne avrebbe preferita una pubblica. Aveva una ragazza che si chiamava Rosa, e che lo detestava”
Il libro raggiunge un discreto successo e lancia la saga dedicata al suo alter ego. Infatti nel 1939 esce Chiedi alla polvere, ambientata durante la grande depressione in un quartiere di periferia di Los Angeles. Qui vive Arturo, in cerca di successo come scrittore che finisce per innamorarsi di una cameriera messicana con la fissa del cognome americano.
Per il successo vero e proprio dovrà aspettare il 1952 quando pubblica Full of live (Una vita piena) ovvero la storia di come una gravidanza arrivi a sconvolgere la vita dei futuri genitori. Il romanzo venne stampato anche per la rivista Reader’s Digest, e quattro anni dopo, la Columbia Pictures decise di farne un film sceneggiato dallo stesso Fante. Si arrivò anche in odore di Oscar.
Sono anni proficui in cui il nostro ne approfitta per fare diversi viaggi in Italia e, dato che era diventato un discreto nome nel campo della sceneggiatura, lavora con un giovanissimo Orson Wells e con Dino de Laurentis. Scusate se è poco.
Il romanzo successivo arriverà nel 1977 con La confraternita dell’uva e parecchio dopo: Il mio stupido cane e Un anno terribile. Insomma, pochi ma buoni. Rimane lo stile scanzonato a cambiare sono i personaggi; di scena c’è la famiglia Molise con i tormenti e gli eterni conflitti tra padre e figlio.
Purtroppo le sue condizioni di salute peggiorano: gli viene diagnosticato il diabete, in poco tempo gli amputano le gambe e diventa cieco. Il suo ultimo romanzo Sogni di Bunker Hill, viene dettato interamente alla moglie. È una sorta di ritorno alle origini: l’ultimo omaggio ad Arturo Bandini, prima di morire. John Fante fece appena in tempo a intuire che Bukowski lo stava salvando dall’oblio letterario. E noi ringraziamo.