Il ritratto di oggi è dedicato a Carolina Invernizio (1851 – 1916). Fu una popolarissima scrittrice di racconti d’appendice dalle tinte forti, più scure che chiare. Quando pensate alle follie contorsionistiche di certi sceneggiatori di Hollywood capaci di far venire il mal di testa pure alle pasionarie di telenovelas, ebbene vi consiglio di prendere in mano uno dei romanzi della Invernizio.
Nacque a Voghera, suo padre era funzionario del Re di Sardegna e quando, nel 1865, la capitale del Regno d’Italia divenne Firenze, la famiglia si trasferì in Toscana. Qui, Carolina e le sue due sorelle, frequentarono la scuole superiore. Sono anni importanti per il Regno d’Italia, ci sono ancora gli echi della guerra d’indipendenza, è il momento della rivoluzione industriale, delle invenzioni farmaceutiche: arrivava sul mercato l’aspirina (eureka!), si provavano nuovi vaccini e faceva timidamente capolino l’illuminazione elettrica.
E la nostra che fa? A 15 anni si distingue scrivendo per il giornale scolastico il suo primo racconto: Amore e morte. E già il titolo fa intuire lo stile tragico e un intreccio dark che a momenti le causa l’espulsione da scuola. Si salva. A dirla tutta, dove trovasse queste idee se lo saranno chiesto sia i genitori che gli insegnanti dato che Carolina era di indole pacata e conduceva una vita estremamente tranquilla, tutta casa e chiesa. Si vede che da qualche parte doveva rifarsi.
Infatti quando iniziava a scrivere tutta quella placida compostezza veniva mandata a spigolare e dalla sua penna uscivano torbide storie di donne virtuose e meritevoli che loro malgrado venivano coinvolte in situazioni losche e sentimentalmente compromettenti. Di norma i buoni passavano una tonnellata di guai per poi salvarsi in corner, mentre i cattivi facevano una gran brutta fine.
L’esordio letterario avviene nel 1876 con l’editore Barbini che le pubblica: Un autore drammatico, ma il suo primo vero romanzo vede la luce un anno dopo con l’editore Salani che pagò ben cinque napoleoni d’oro per avere: Rina o L’angelo delle Alpi. Il romanzo narra di una giovane e bella orfanella che si mette nei pasticci in casa del ricchissimo banchiere Maffei il quale non tarda a innamorarsi di lei. Insomma, Cenerentola ma senza sorellastre. Il romanzo ebbe successo e da quel giorno il sodalizio Invernizio – Salani sarà fiorente, duraturo e corroborato da una sincera amicizia.
A questo seguono circa 130 romanzi. Perno centrale dei racconti di Carolina è il tradimento, causa prima di tutte le disgrazie delle sue eroine. Ma non mancano suicidi, omicidi, abbandoni, truffe, incesti e chi più ne ha più ne metta. Impossibile incanalare la Invernizio in un genere preciso; abbiamo il giallo, il gotico, l’horror, il rosa, insomma tutti i gusti più uno. Qualcuno (il suo editore in realtà) definì i suoi lavori come romanzi storico-sociali, tuttavia a essere onesti, si assomigliavano un po’ tutti: in essi c’era l’eterna lotta tra il bene e il male dove i protagonisti vivevano storie di odio, di amore, di folli passioni, vendette, tradimenti e (raramente) di perdono.
A cambiare erano le ambientazioni storiche: Carolina passava molto tempo in biblioteca a documentarsi proprio per dare veridicità e spessore alla trama e ai protagonisti. In particolare curava l’incipit del romanzo, che considerava fondamentale, e ancora di più il titolo destinato a far breccia nell’immaginario del lettore. E bisogna dire che anche qui la fantasia (o il marketing) non mancava: Il bacio d’una morta (1866), La sepolta viva (1896), La vendetta d’una pazza (1900), Il cadavere accusatore (1912) e così via. Titoli che hanno fatto la storia del racconto italiano e che sono stati tradotti e distribuiti con notevole successo anche in America. Molti di essi sono stati poi trasformati in pellicole di successo. Ma se il pubblico divorava i suoi libri, di diverso avviso era la critica che non le risparmiava biasimo e disapprovazione.
Il linguaggio semplice e i temi torbidi potevano far presa solo sulle classi meno abbienti, quella delle servette, delle operaie, in una parola: del popolino. Pure il Vaticano volle dire la sua e mettere all’indice i romanzi della Invernizio che erano vietatissimi alle signorine per bene. Persino Antonio Gramsci arrivò a definirla “un’onesta gallina della letteratura popolare”; qualcuno andò oltre coniando “Carolina di servizio” dato che le domestiche erano le sue lettrici più accanite. Infine, poiché la nostra era originaria di Voghera, ecco che a lei si deve l’origine della famosa espressione: la casalinga di Voghera, appunto. Ma Carolina continuò a scrivere e a incassare fior di quattrini senza farsi cruccio delle critiche.
Uno dei suoi più celebri romanzi, fu La trovatella di Milano, trasformato anche in film nel 1956 e ambientato durante le Cinque Giornate di Milano. I carbonari si preparano a insorgere contro gli austriaci, le loro riunioni segrete si tengono al collegio dei martinitt (una specie di ospedale per i poveri) che ospita anche una trovatella di nome Maria. Tra lei e il capo dei carbonari è un colpo di fulmine. E qui parte un intreccio alla Beautiful che vede la fidanzata del capo della polizia infatuata del capo dei carbonari. La tipa però è anche la figlia del cattivissimo conte Patti, il quale fa arrestare Maria per poi condannarla a morte quando, carramba che sorpresa, scopre che la poveretta è sua figlia. Qui ci vuole una pausa-aspirina.
Tanto drammatici erano i suoi racconti quanto normale la sua vita sentimentale. Carolina si innamorò di un tenente dei bersaglieri: Marcello Quinterno che subito dopo il matrimonio (1881) partì per le disastrose Campagne d’Africa. Al suo ritorno gli venne assegnata la direzione del Regio Panificio Militare a Torino. Così la famiglia Quinterno lasciò Firenze per spostarsi a Torino, dove nacque Marcella, la loro unica figlia.
Diversamente dalle sue protagoniste, Carolina Invernizio era una mamma affettuosa e premurosa, una moglie esemplare e anche molto devota alla Madonna tanto che ogni settimana si recava con la figlia al santuario di Santa Maria della Consolazione, uno dei più antichi luoghi di culto di Torino.
Poi si rifaceva coi suoi romanzi.
I giornali dell’epoca la descrivono come donna elegante che amava particolarmente la moda della Belle Époque; è un momento di alta raffinatezza con cappelli piumati e abiti con strascico. Lei però non era molto mondana, ma accetta di partecipare all’Esposizione di Torino del 1911 su invito del comitato della stampa. La sua carriera è all’apice, la Prima Guerra Mondiale, invece, è alle porte; lei fa appena in tempo a sentirne i rombi e a scrivere La fidanzata del bersagliere, ispirata alla vera storia di Luigia Ciappi, una donna che, travestita da uomo parte per il fronte dopo un breve addestramento militare, salvo venir scoperta prima di arrivare in trincea.
Carolina muore nel 1916 a Cuneo a causa di una polmonite, ma aveva redatto il suo testamento nel 1903. In esso, aveva espresso il desiderio di non essere seppellita prima di quattro giorni dalla sua morte. La paura, molto diffusa ai tempi, era quella essere sepolta viva e, dato che lei per prima ne aveva scritto a iosa, probabilmente temeva di fare la stessa fine di alcune sue eroine.
Ora è sepolta nel cimitero monumentale di Torino: sulla sua tomba è stata posta una statua, a cura della casa editrice Salani, e la scritta “Il tuo nome non morirà”.
1 commento
Grazie per questa testimonianza, non la conoscevo, di certo non è il mio genere ma ho accresciuto la mia cultura.
Grazie