L’horror scorre sull’hi – tech. M3gan, prodotto da James Wan, è sospeso tra gore, comedy e autoironia
Una bambina (Violet McGraw) rimasta orfana a causa di un brutto incidente occorso ai suoi genitori. Ancora sotto shock, Cady viene affidata nelle poco capaci mani di una zia, Gemma (Alison Williams), pessima come tutrice ma geniale sviluppatrice di giocattoli elettronici per conto di una grande azienda. Sarà lei ad affidare alla nipote – ma è più la nipote che viene affidata al giocattolo – una bambola androide capace di instaurare un rapporto emotivo con l’utente di riferimento: lei si chiama M3gan, acronimo di Model 3 Generativ Android.
Il film è l’ultima intuizione della Blumhouse Productions, una casa di produzione che conta fra i suoi successi Insidious (J. Wan, 2011), Scappa – Get Out (J. Peele, 2017) e Black Phone (S. Derrickson, 2022) fra gli altri, ma patrocinata anche da James Wan (anche co – autore del progetto) che di pupazzi diabolici e bambole assatanate ne sa qualcosa, almeno dal 2004 con il suo Saw – L’enigmista.
Ed è sempre Wan il regista del terrificante Dead Silence (2007), dove l’orrorifico protagonista è stavolta un pupazzo da ventriloquo che ha il pallino di tranciare la lingua delle sue malcapitate vittime, e dalla sua mente è scaturita anche la demoniaca Annabelle facente parte del cosiddetto Conjuringverse.
L’origine di questo feticismo? Poltergeist – Demoniache presenze (T. Hooper, 1982), un film che ha letteralmente sconvolto il nostro regista, ora produttore esecutivo, tanto da tornare ossessivamente su questo topos nel corso di tutta la sua filmografia: “è stato un film molto influente per me. L’ho visto in tenera età, quando ero impressionabile, e mi ha fatto una grande impressione. Quella bambola da clown raccapricciante mi ha sicuramente segnato a vita” ci tiene a far sapere Wan.
M3gan non è altro che la versione 2.0 di tutte le bambole assassine, da Chucky a Billy, un concentrato di tecnologia e software development che ha il precipuo scopo di proteggere il proprio utente di riferimento “dal male fisico ed emotivo”. Nulla di strano, se non fosse che la bambola prende un po’ troppo a cuore il suo compito, eliminando tutti coloro che si frappongono fra lei e Cady.
Come da copione, M3gan si lega morbosamente alla piccola, inaugurando un’escalation di morte e terrore che si arresta solo nel finale del film.
Eppure, l’effetto gore è molto contenuto nel corso del lungometraggio: le scene splatter sono ridotte al minimo, gli omicidi avvengono sempre fuori campo (probabilmente anche per evitare divieti troppo onerosi), ci si spaventa poco e si ride di più.
Il registro del film rimane infatti ben sospeso tra una prospettiva più horror ed una maggiormente comedy, che resta palpabile durante tutta la narrazione: che sia quando M3gan canticchia Titanium di David Guetta per far addormentare Cady o si esibisca in breve balletto pop prima di assassinare una sua vittima, l’opera del regista Gerard Johnston non scade mai in prodezze granguignolesche.
La sua regia rimane asciutta e affine ad una sceneggiatura forse un po’ ingenua e incoerente ma capace di amalgamare i toni trainanti di un format che risulterebbe altrimenti trito e stoppaccioso, abituati come siamo a bambole e pupazzi infernali.
Ecco che dunque M3gan, “due occhioni inquietanti post manga à la Alita su un corpicino vero di attrice bambina, mix di titanio e pelle sintetica”, arriva dove non era arrivato il Chucky di Don Mancini, preformando alcune scene trash che rimangono in mente sicuramente più della sua crudeltà da serial killer.
la fine del racconto non risparmia il pubblico da una conclusione moralista che mette in guardia sulle estreme conseguenze di una tecnologia che si spinge troppo oltre l’umano e invitando al dialogo fra genitori e figli.
Un po’ scontato forse, come il finale tipicamente aperto per consentire di continuare il franchise, ma sta di fatto che questo “mix di goffa tecnofobia e di cattiva coscienza turbocapitalista” ha probabilmente del potenziale nascosto. Certo non può ergersi ad icona e non sostituirà mai il nostro amore cinefilo per le bambole analogiche, ma forse potrà regalarci qualche nota d’intrattenimento. Magari in un futuro sequel.