Il ritratto della settimana lo dedico a Rex Todhunter Stout (1886-1975)
Oltre a essere stato il creatore dell’intramontabile Nero Wolfe, è stato anche colui che meglio riuscì a unire due generi letterari fino allora separati: il giallo d’azione americano, tipo hard boiled, e il giallo all’inglese, quello deduttivo e assai più intellettuale.
Rex Stout era di origini modeste, suo padre faceva l’insegnante e la madre la casalinga. Tutta la famiglia era fermamente quacchera, ovvero pervasa da un austero protestantesimo che rifiutava tutti i vizi e le convenzioni mondane e sociali. Tra le convenzioni moderne doveva esserci anche la televisione dato che ebbero sette figli, non solo, ma tanta austerità ebbe, sul nostro, un effetto diametralmente opposto ai precetti impartiti dal padre. Ad ogni modo il nostro inizia a frequentare le scuole a Topeka, in Kansas dato che tutta la banda si era trasferita lì dall’Indiana.
Rex dimostra subito di che pasta è fatto e quale sarà il suo percorso culturale: a tre anni aveva già letto la Bibbia, a dieci anni conosceva tutti i libri che suo padre teneva in biblioteca che fossero trattati di filosofia, di scienza o di poesia poco importa. Dopo la Bibbia dovevano sembrargli favole della buona notte.
Alla maggiore età molla i libri e si arruola nella Marina degli Stati Uniti col grado di sottufficiale addetto al servizio amministrativo, detta così suona noioso, ma il servizio lo presta a bordo del Mayflower, lo yacht dell’allora presidente Roosevelt. E ci rimane per 4 anni.
Poi dovette averne abbastanza del mare perché, una volta congedato, si mise a fare il piccione viaggiatore via terra cambiando lavori come fossero calzini. Se non altro il mestiere di amministrativo appreso in marina lo aiutò a non morire di fame. Nei quattro anni successivi lo ritroviamo: contabile ambulante (oggi si direbbe consulente free lance), venditore di sigari a Cleveland e di souvenir indiani ad Albuquerque, guida turistica a Santa Fe e butta dentro nei pullman per turisti e poi ancora: commerciante di libri tra Chicago e Milwaukee e stalliere a New York. Non male per uno che aveva letto la Bibbia a tre anni.
Finalmente, nel 1912, il nostro inizia a scrivere per riviste e settimanali. Il guadagno era discreto ma Rex aveva le mani bucate per cui si dovette ingegnare non poco per tirar fuori un’idea con cui ottenere una fonte di reddito continua e proficua senza faticare troppo. Pensa e ripensa, ideò un sistema di risparmio bancario per gli scolari, una sorta di conto baby che ebbe così successo da venir adottato ovunque. Il suo sogno (e quello di mezzo mondo) di lavorare poco e guadagnare molto si era avverato e lui riuscì anche a togliersi lo sfizio di conoscere l’Europa.
Passano altri quattro anni e, nel 1916, si sposa una prima volta con Fay Kennedy (no, non quei Kennedy), il matrimonio naufraga nel 1933 ma solo per convolare nuovamente con la seconda – e ultima – moglie: Pola Hoffman.
Intanto la crisi del 1929 aveva colpito duramente anche i suoi affari e a lui torna in mente un pensiero che aveva già da un po’: scrivere.
Rex esordisce con un romanzo di narrativa intitolato How Like a God ovvero la storia, un po’ psichedelica, di un uomo che va in giro con una pistola e l’intenzione di uccidere qualcuno. Il libro ebbe poco successo ma il nostro aveva trovato la sua strada si rimise subito al lavoro.
Stavolta con un giallo e così nel 1934 fa il suo esordio una delle coppie investigative più riuscite di sempre: Wolfe-Goodwin in La traccia del serpente, in cui una donna ingaggia Nero Wolfe per rintracciare il fratello scomparso. Il romanzo si impone subito al pubblico e l’anno successivo esce La lega degli uomini spaventati, quello dopo ancora tocca a Sei per uno. E così per i successivi 39 anni, al ritmo di un romanzo l’anno.
Con i suoi romanzi Rex ci traghetta tra la metà degli anni trenta fino agli anni settanta in ambienti eleganti e sofisticati; la scrittura è limpida, pratica e priva di coloriture e gergalità che più tardi avrebbero infestato gran parte dei gialli hard boiled; non troviamo scazzottate o inseguimenti e sparatorie. Sono ancora lontani i tempi delle baby gang, delle menti malate dei serial killer e dei traffici di droga. Si indaga generalmente su delitti il cui movente è nove volte su dieci, il denaro.
Il ritmo delle uscite dei gialli rallentò in occasione della Seconda Guerra Mondiale, periodo in cui Rex si mise a disposizione della Writers Board allo scopo di scrivere articoli di propaganda. Per qualche settimana condusse anche un programma radio.
Ma, al termine del conflitto, ecco arrivare Morto che parla, dove la coppia Wolfe-Goodwine deve indagare sull’omicidio del capo di un’agenzia federale.
Vale la pena soffermarsi sui personaggi che hanno fatto la storia del giallo. Nero Wolfe presenta pochissimi punti di contatto con Rex Stout: anzitutto è un brillante detective che risolve casi intricati generalmente senza spostarsi dalla comoda poltrona del suo studio, detesta il lavoro (ok, questo è un punto di contatto), tollera appena le donne, è pignolo fino allo sfinimento, beve birra come se piovesse, è obeso, pigro e sedentario. Ama la buona cucina (che gusta in religioso silenzio) e le sue orchidee cui dedica quattro ore al giorno. È allergico agli affari di politica, al cinema e alla televisione.
Di contro il suo fidato assistente, Archie Goodwin, è affascinante, alto e prestante; a detta dell’autore una via di mezzo fra Humphrey Bogart e Gary Cooper. Beve latte, ha una memoria prodigiosa è serio e scrupoloso nelle indagini e non disdegna il gentil sesso; in caso di necessità è disposto a farsi torchiare dalla polizia – o addirittura arrestare – al posto del suo pachidermico datore di lavoro.
Come il dottor Watson di Sherlock Holmes, anche Goodwin riporta in prima persona i casi risolti dal suo principale. Tuttavia, mentre Watson è accondiscendente con il suo capo, tra Goodwin e Wolfe ci sono spesso esilaranti scintille che animano vivaci conversazioni.
«Wolfe alzò il testone. Mi soffermo su questo, poiché ha una testa così grossa che l’atto di sollevarla dà l’impressione di una fatica non indifferente. In realtà dev’essere ancora più grossa di quel che sembra; infatti il resto della sua persona è così enorme che qualunque testa, che non fosse la sua, scomparirebbe letteralmente su quel corpo.»
Chi legge i gialli di Rex Stout, non lo fa solo per la componente mystery o per il brio dei dialoghi, ma anche perché Nero Wolfe piace, nonostante (anzi direi soprattutto) i suoi 150 chili che fanno di lui un uomo d’azione puramente intellettuale e assai diverso da un qualsiasi ispettore Callaghan pronto a sparare pure alle ombre.
La fortunata serie è stata premiata nel 1959 con il Mystery Writers of America e, più tardi, è stato istituito anche un concorso letterario: il Premio Nero Wolfe.
Negli anni a seguire lo tesso Rex Stout ha rivestito molte cariche presso le maggiori associazioni letterarie statunitensi e, per chiudere in bellezza questa fortunata carriera, il “corpus” delle sue opere giallistiche è stato valutato come “miglior serie del secolo” al Boucheron 2000, la più grande convention per la letteratura gialla, e ciliegina sulla torta, Rex Stout è stato nominato Miglior Giallista del Secolo. Scusate se è poco.