“Pierpa’, ‘ioccai, non me ne frega un cazzo di niente. Io fra sette minuti sono senza ossigeno.”
BIP… Silenzio… BIP… Silenzio… BIP…
“Sì, ma te si un mona! Non te ghe da rompere sempre con Raffaele, Raffaele, voglio Raffaele, ti mando Dario, no voglio Raffaele!-” BIP… Silenzio.
“Doveva esserci lui qui e comun… Merda!” BIP. “Non ci ho ossigeno, quasi zero ormai… Merdaaa!” BIP… Silenzio… BIP.
“Oh! Non sta’ a insustarme! Dario ze driu prepararse! Ora ze fora!” BIP.
“Non si può cambiare la punta da soli. Miss Roma tirerà di quei bestemmioni a mettere la nuova…” BIP. Silenzio. Screpolata, la superficie grottesca della roccia arzigogolava sprezzante. La tuta bianca brillava, là un sole piccolo come un faro lontano rosicchiava un buio pesto con raggi taglienti. La visiera riflettente, ricurvo specchiava tutto: Giove, macchiato a mo’ di brodo rosso e arancione e il modulo, un giocattolino di tubi bianchi gonfiati, un’ombra nera rispetto alla superficie gassosa, tutto lo sfondo. La punta, cinquecento settantun chili di acciaio purissimo, leggerissimi, marchio Denaro Metallurgia, fluttuava, poggiata alla roccia dell’asteroide, tenuta da due guanti bianchi targati European Space Agency, European Union, Ministero della Giustizia. Quei due guanti bianchi, quelle due braccia che vi si avvinghiavano, non se lo sognavano neanche per idea di mollare la presa.
“Oh, ma ci sei ancora?! Pierpa’! Dov’è ‘Roma-nel-cuore’? Ho cinque minuti qui. Non la ripigliamo ragazzi se mollo la punta. Parte e se ne va. La ripescate voi.” BIP.
“Calma, calma, calma! Te ga da star calmo! Dario ze driu finir la procedura per uscire, ora arriva… Oninìn, se te te arrivi a ossigeno zero, lasci e poi nem parlemo.” BIP… Silenzio.
“Sarà leggera, ma scivola. È difficile tenerla, non la riesco a inserire. Poi come la prendi? Il muletto non va. Con una mano devi manovrare, con l’altra tenerla… Ma se non la tieni con due braccia… No, è un casino. Pierpa’, Non ho più forze. Puttana Eva! Sono trenta minuti che Dario è a prepararsi!” BIP.
“Ere em bagno! Senti, mo… a te dighe mi a roba, te desvolto un po’. Ghe ze arrivate ‘e mail dai porsei maedetti!” BIP.
“Che scrive fuck tha police? Una mail quando ci hanno svegliati, una mail quando abbiamo dovuto fare le interviste e una mail adesso dopo tre mesi?” BIP.
“Ze ‘e interviste! Ghe ze anche Dario e parle anca de noartri!”
“Quattro minuti e quaranta e non ho ossigeno. Dopo gli parlo io a Raffae’!” BIP.
“Che ti ha detto? Ce la sta facendo?!” BIP.
“E me ga ditto de non scassar i maron! ‘Spetta che te prendo l’intervista de… Vanity Fair, eccola qui! E ze ‘a prima uscita, un mese fa. Poi ze mandarem l’intervista de Repubblica. Poi Internazionale. Aspetta che me ze aprise… L’Olivetti ze lento! Pi’ lento de noartri! No ze carica niente!” BIP.
“Posta privata oltre alle interviste?” BIP.
“Comunicazioni ministeriali, sinquanta di mi’ mare, a ti te ga scrito to zia. Una to mare. To zia de novo. Niente berta, niente di niente. Una per Raffaele, ottosento per Dario, tutte fighe e gli Ultràs che gli demanda de tornare… Oh, vai, ghe ze aperta! Vanity fair!” BIP.
“Tre minuti e cinquanta secondi. ‘Ioccai, Dario, sei lento pure al cesso!” BIP.
“Romani! No’ te sta a pensare… Poi, senti mi, tu ze paranoico. Mola’a, no scapa mina! La punta i la persa una volta in do’ mesi ghe sem chi, ma so’ perché ghei d’Anonima Sequestri i zen da Sardegna. Zen Sardi!” BIP. “Sì, loro si sono bruciati un bel bonus sconto. Ce l’hai ‘sta intervista?!” BIP.
“Vanity Fair, de do’ settimane giuste, primo di luglio. Te ‘o lezo mi. Ci vogliono trenta ore prima che la nostra domanda arrivi e che si riceve la risposta in redazione. Intervistarli è difficile, ma necessario. Sono i volontari della prima missione italiana su Giove. Italiana?! Umana! Il primo avamposto estrattivo umano è made in Italy.” BIP.
“Hanno scritto davvero ‘sta roba?!” BIP.
“’Spetta. Ora te ridi, te ridi, ‘spetta! Milano Opera, Roma Rebibbia e i carceri di Parma, Cuneo, Sassari, Spoleto, Tolmezzo, hanno risposto alla chiamata. Detenuti, senza volto e senza libertà, sono partiti verso l’ignoto.” BIP.
“Non ci credo che hanno scritto ‘sta roba.” BIP.
“’Spetta! ‘Spetta! La dignità, il riscatto, la voglia di rimettersi in gioco hanno portato le loro anime fino al sesto cielo di dantesca memoria.” BIP.
“Cosa cazzo c’entra Dante?! Cosa cazzo c’entra Dante?!” BIP.
“Il loro paradiso è là? Lo abbiamo chiesto a Dario D’Arpino, dopo il… I bel ze ghe no i dizen che el’accopato ventidu tifosi del Napoli co’ una granata al fosforo e plasma… Poi vabbe’, mi ghe avrei dato un premio però-” BIP.
“Non ho tempo per i tuoi discorsi del cazzo sui meridionali Pierpa’!… Io qui ho due minuti e mezzo. Dove cazzo è Dario?!” BIP.
“Molala ‘a punta e non sta a rompere! Molala, la riaciapa’ Dario!” BIP.
“Sono sei ore che sono fuori. Ho caricato male io la bombola dell’ossigeno qui, lo ammetto, però, ragazzi… Cioè… Raffaele si deve svegliare. Non ci sono Cristi!” BIP.
“Aspetta, te lezo la repubblica.” BIP.
“Non so se sono pronto.” BIP.
“Spetta che accatto!… Eccoa ‘a mail. Vi inviamo l’intervista di Repubblica di tre settimane fa, aprire il link per… Eccola. Allora. Siamo lontani dalle due Italie giolittiane quando l’allunaggio fu volontà delle aziende del nord che si accaparrarono la corsa. E vorea ben vèdere, Dio Cantante! Siamo lontani dalla famosa frase ‘lo spazio è un affare italiano’ di Alberto Giovannini nel trentadue, che però celava, beffardamente un ‘lo spazio è un affare nord-italiano’. Oggi le trivelle con cui perforiamo i coriacei silicati di Io, luna di Giove, sono di un’azienda messinese. Bea roba!” BIP.
“Un minuto e quaranta.” BIP.
“’Scolta! Dario non so ghe gaso è a fare. Moa ‘a punta, vieni via, tanto a ze de messina!” BIP.
“Ci parlo io! Con don Raffae’, appena rientro!” BIP.
“Non sprecare ossigeno, respira poco. Okay?! Vabbe’, ‘sta parte su i Messinesi, ghe ze bravi a fare le punte per trivelare, so’ loro son cossì bravi ‘a salto… Ma parliamo del nostro arcipelago gulag, parliamo dell’agognato riscatto che si cela dietro alla disperazione. Nessuno fra i volontari ha meno di trent’anni di carcere da scontare. Molti sono i ‘fine pena mai’. Hanno deciso di…” BIP.
“Cioè… La menano con il sud che si è riscattato e poi ti fanno la sparata melensa su di noi che siamo stati costretti a-” BIP.
“Sì” BIP.
“Fantastico. Del quarantuno bis? Ne parlano?” BIP. BIP. BIP.
“Non me frega niente! Mi se penso a carcere duro, a son felice.” BIP. BIP. BIP.
“Centodieci secondi. Mai detto di essere contrario al quarantuno bis!” BIP. BIP. BIP.
“Ma te ga voja de parlare col fifio de mori’?! Vien dentro!” BIP. BIP. BIP.
“Senza punta è una penalità di cinque anni a tutti e quattro.” BIP. BIP. BIP.
“Oninìn, non fare il mona. Non ghe ze scrito da nessuna banda.” BIP. BIP. BIP..
“Finché non arriva miss Roma io rimango qui. Fidati funziona così. Leggimi l’Internazionale.” BIP. BIP. BIP. “Dario?! Dio Caro dov’è ca te si?! I ze dre’ far i controlli pe’ il casco, ora t’o senti in cuffia. Du’ secondi. Pasemo all’Internazionale… ‘A mail, eccoa qui.”
“Vai, che dicono lì?” BIIIIIIIII…
“Non ci vai su Giove se non hai scelta. Amnesty International ha denunciato sin da subito la modesta proposta del bando statale per soli detenuti (reclusi nei carceri italiani ed eritrei): o l’ergastolo o una vacanza lavoro su Giove. Vacanza non è, lavoro fin troppo, ma del resto, sono detenuti, a chi importa davvero? Da Beccaria a Foucault… la lista sarebbe lunga, ma rimaniamo sul caso. Sette anni in criogenia. Il risveglio è una tortura. Ovviamente per ottimizzare i tempi il risveglio è l’ultimo mese di criogenia, nelle capsule un intero set di primissimo ordine, firmato Monsanto, prepara i corpi addormentati con il massaggio muscolare, un risveglio brevettato in collaborazione con Finmeccanica, per cui si è resa necessaria l’Intelligenza Artificiale, ridotta al minimo per evitare scandali. Le conseguenze psicologiche, registrate nei trial del duemilasei, erano state devastanti. Oggi, sei anni dopo, sono tutt’altro che rosee, commenta sempre Amnesty International. Ma Giove chiama! E il mercato del lavoro non può soddisfare la domanda: i robots, con a ese per fare i fighi, ma di ‘robot’ ghe ze finia Dio caro! I robots ormai hanno più diritti di noi, noi non ci vogliamo andare neanche per un laureatissimo… lautissimo… Lautissimo? Lautissimo compenso… Gli unici sono quelli che devono scegliere fra ergastolo, quarantuno bis e lo spazio.” BIIIIIIIII…
“Io non ti sento più che qui ho un cazzo di fischio continuo, prima di crepare ti rendono sordo.” BIIIIIIIII… “Va via da’ì, mona!” BIIIIIIIII…
“Leggi, che mi interessa!” BIIIIIIIII…
“Mato! A chi, entusiastico, esplode in effluvi sul supposto riscatto delle aziende del sud, ricordiamo che il bando l’ha promosso la Francia: le vele solari sarebbero ESA, ma in realtà è tutto Pegeaux.” BIIIIIIIII…“A’ stronzo! Eccome!” BIIIIIIIII…
“Miss Roma, dove cazzo sei?!” BIIIIIIIIII…
“Levate dar cazzo, va’, me vedi?! Dimme se me vedi!” La piccola tuta spaziale bianca comparve staccandosi dal modulo: un chicco di riso in una minestra buia.
“Io lo inculo con la sabbia Raffaele!” Si avvicinò, si ingrandì, il chicco bianco diventò una tuta, con un uomo dentro. Le due visiere si rifletterono l’un l’altra: deformate le tute apparvero come strisce lucenti sul vetro ricurvo, violaceo quasi.
“Don Raffae’ non ci ha voja di cazzi, lascialo stare. Levate dar cazzo frate’, che qui ce penzo io. Fila. Non parlare, non dire gniente.”
“Fila dentro, maedeto!” Il fischio durò. La tuta lo avvolgeva. L’ossigeno, ancora non gli mancava. Il modulo si avvicinò al suo volto: non era più una sagoma nera su Giove. Le bandiere, le sigle, le scritte, si presentarono nitidamente scritte sul portellone con fare diligente e cubitale: UE; ESA; Ministero di Giustizia. Girò, aprì, entrò.
Ossigeno sparato nella stanza. Pressurizzazione. Il guanto si tese con l’indice che finì sul tastierino all’altezza del petto. Il codice venne inserito. CLICK. Il casco si poteva svitare, si levò, ballò disincantato nella capsula. Narici si gonfiarono, i polmoni si riempirono. Via i guanti, via lo scafandro, via tutto. Tricot di nylon abbandonò le braccia, le gambe, i peli, i pantaloncini, la maglietta bianca. Le mani nude inserirono il codice. Calzini a fantasia natalizia scaldavano i piedi. CLICK. Il portellone si aprì.
“Oh, comunque te l’avevo detto che internazionale non sarebbe stato male. Fa anche rima.”
“Te disi così so’ parché te ghe ze comunista.”
“Oh secessione Pierpaolo! I Carrarini sono comunisti tanto quanto te. Dillo a to’ ma’ comunista… Dov’è il pezzo di merda?!”
“Tu stai bene?”
“Pierpa’, è di là a larvare, vero?!”
“Io so esfatto. Segui la musica e te ‘o accatti. Dormo do’ ore, guarda ti miss Roma, a faghe assistensa, che mi ‘a moro.”
“Ci si mette don Raffae’ a fare assistenza a quell’altro.”
“Sì, ciao! Vado a dormire, va.”
“Io ho lavorato sei ore o ci si mette lui o buco una parete a testate. Non ce la faccio più. Poi tecnicamente dovremmo essere in due giù e uno qui a fare assistenza. La punta come la rimonta che è già stato un casino se l’ho levata da lì?! Levarla da lì, non riesco neanche a parlare.” L’altro gli sorrise, fu una specie di saluto.
Le mani si avvicinarono. Il corpo roteò. La capsula, con un uomo infilato in un piumone beige e un berrettino a forma di Pikachu sulla testa, questo videro gli occhi. Gli occhi videro anche gli occhi chiusi di quell’uomo che ascoltava a basso volume la musica. La voce graffiata rimbalzava bambina da tutte le parti spandendo un POTRÀ MAI GELARE, PUÒ CRESCERE UN FIORE DA QUESTO MIO AMORE PER TE prima di un lungo scodinzolare di chitarre.
“Bello lui, che si ascolta Rino Gaetano. Piglia ben Rino Gaetano con Giove?! Te piaze?”
“Se nun’o saje parlà ‘o Veneto, Oninìn, nun ‘o parlà. Nun solo Rino Gaetano! Dint’ a playlist c’è sta nu’ poch’e tut’e cos’!”
“Non dire ‘Oninìn’ che il Carrarino ‘ta, è una lingua difficile!”
“Una chiavica ‘e lingua!”
“Sì, sì, ok. Senti… Don Raffae’. Sarò molto serio con voi, baciamo le mani, ci tengo a dirlo, baciamo le mani, eh… Senti, non so come è, come non è, non so come dirtelo, Raffae’, se vuoi te lo invio con la PEC. O ti togli dal letto o… Io t’ammazzo. Sono serio.”
“Nu’ ‘omm’ muort’ fatica assaje meno che n’omm ca’ nun tiene genio d’ fatica’.”
I due si guardarono. Avevano due sguardi sfiniti. SU SPIAGGE DI SILICIO TU CRESCEVI sibilavano le casse.
“E ch’ aspiett’?! Accireme! Servono duje perzone p’apri’a porta, buttarme for’! Duje! ‘E capit’ cumme l’hanno pensata! Una all’Olivetti, una alla porta! Ma pecché… cunusci altri metodi p’accireme?! Quaccosa per accireme ccà nun’ ce sta! Nun tinimm manco ‘e curtielli ‘e plastica! Si o’ truove, m’ fai content’!”
“Senti, stiamo impazzendo. Siamo in tre a fare un lavoro da otto. Dovevamo essere in quattro. Ogni giorno di lavoro è una settimana di sconto pena. Ogni obbiettivo portato a termine è un anno fuori. Tu stavi pure per fare il collaboratore di giustizia… Raffae’, su.”
“Francamente pensavo che l’universo sarebbe stato meglio ‘e post’ addò m’eran messo! Due anni c’aggia passat dint’o carcere duro! Voi ‘o sapete che steve per fare ‘o pentit’! Che merd e’post che era! Tu nun –” “Amico, non te l’ha mica detto il dottore di far ammazzare Gherardo Colombo, inviando l’ordine coi tuoi amichetti, dal carcere! Te lo ricordi?!”
“Tu si n’anarchic’ annacquat’, n’anarchic’ come si deve non concepisce ‘o carcere duro ”
“Io sono un anarchico, non un mafioso. Voi ci tenete alla gerarchia, per voi cambiare boss non è come cambiare mutande. Ci rinunciate a fatica. I pizzini ve li scambiavate. Con voi è una guerra, altroché… Gente di merda siete! Ma ora il problema non è neanche quello! Vi siete fatti furbi, basta illegalità spicciola, meglio camuffarsi da industrie buone e tranquille…”
“Oninìn, statt’accuort’!”
“Le scorie radio-attive smaltite alla cazzo di cane che ha trovato Green Peace sotterrate nel Salento dieci anni fa ce le ha messe l’esercito, vero?!”
“’O nucleare nun’è robba nost’. Nun’c’ guaragnamm’!”
“Nucleare, l’energia no. Ma le scorie son dentro i barili, quelli son scarti.”
“I’aggio semp’e sol gestito eroina! E tu ne saje quaccosa ‘e eroina, nun’è ‘o ver’?! Oninìn?!”
I due si fissarono. I PASSI DELLE ONDE CHE DANZAVANO SUL MARE A PIEDI NUDI, COME UN SOGNO DI FOLLIA VENDUTO ALL’ASTA sussurrò l’impianto. Il brodo rosso e arancione di Giove si mesceva nell’oblò a forma di pentola.
“Raffae’, devi rompere poco il cazzo. Devi tornare a lavorare. Se torni a lavorare e collabori, invii le registrazioni che ti hanno chiesto, si ritorna…”
“Ma pecché?! Tu o’veramente ci credi?! Credi che torneremo mai alla vita di prima?! A vintiduje anni era già ‘o boss: ‘o cchiù giuvan dint’a storia! A trentacinqu’ stev’ dint’o carcer’! Mo’ ne tengo cinquanta… Se ritorno, come minimo ritorno che ne teng’ottanta! Che m’ dann’?! A’ terapia Giovinezza Dieci della Monsanto pe’ turna’ settantenne?! Ma poi… ma poi! Guardàte attuorno! Che post’! Magnamo roba liofilizzata, sti’ budini che arrivan dal modulo principale! Ci sta chi ha dovuto dare nu cors’ e’pront’ soccorso, pecché ‘e dottori co’ trent’anne ‘e spall nun’ se truvavan! Tu t’ faciss cura’ da Miss Roma?! L’ha fatt’ Miss Roma ‘o corso pe’ diventa’ dottore! Uno che tiene o’ poster d’ Caino ‘ncopp’a capo quann’dorme! Oninìn!… ‘O tass ‘e mortalità dint’o spazio, qual è? Basso. Pecché?! Pecché ‘a gente è tutta specializzata! Noi lo siamo?! E c’hann pure dato compiti impossibili da fare! Impossibili! È ‘na prova! E non la superiamo, no! Ci fann’ for co’classe. Con grande classe!”
“Io ho l’ergastolo Raffae’. La buona condotta non mi salva mica. Non… Non ho scelta.”
“Ma tu pecché ogne ghiuorno, ogne santo ghiuorno, ci arricuord’ che ti faciv’ d’eroina? Cioè, io ti credo, ma… Io dint’a vita mia di eroinomani che ammettono così spavaldamende che erano eroinomani come ‘a te…Mai incontrati!”
“Mi facevo di eroina quindi non è stato un attentato, capito?! L’eroina che vendevi tu, probabilmente, quella roba lì!”
“Vabbuo’ ma tu ‘a già comprat’!” Rise su quella voce graffiata che faceva SI LAVORA SI PRODUCE, SI AMMINISTRA LO STATO, IL COMUNE PROMETTE E SI MANTIENE, A VOLTE. “Ma insomma… I’ n’agg capito come farti di eroina ti ha portato all’ergastolo!”
“Io ero addetto al taglio del marmo con il laser, questo lo sappiamo. Da noi le cave hanno una profondità di una quarantina di metri. Una volta c’erano le montagne anche proprio sopra Carrara, fino a inizio novecento… Ora scavano in profondità, quando si può, quando si trova il marmo. Sono andato a lavoro completamente fatto. Ho tagliato a metà un fronte di cava.”
“Ma cumm’è possibile che tu ti facevi, con un lavoro simile! E i controlli?”
“Tu, proprio tu che ti stupisci che non ci sono i controlli…”
“Sì, ma m’par’ un lavoro pericoloso o no?!”
“Prima o poi finiscono per fidarsi, Raffae’… Proprio perché facevo quel lavoro ho iniziato a drogarmi. Non puoi gestire quella tensione. Non ce la fai. Devi… Ti fai di qualcosa per forza. Normalmente funghi… Ma c’è chi… Il laser è uno strumento allucinante. Tu hai una gru di tre metri, con attaccato questo motore che consuma poco ma emette una luce… Di un bianco che… Devi lavorare con un casco, un visore, non è una cosa umana. Poi il suono. Io ho un acufene che tu non hai idea… Ogni sei mesi ci fanno test psicologici, ogni settimana l’analisi del sangue, dopo cinque anni che lo fai, iniziano a fidarsi, ma tu hai già iniziato il declino. Un giorno non resisti, pensi di gestirtela, dai, vai con una piccola dose. Va tutto bene. Una settimana dopo fai l’errore madornale di dire che puoi farti un po’ di più.”
“E gli Olivetti?! Manco per quello le intelligenze artificiali…”
“No, poverine! Dopo arrivano gli eco-informatici: i programmi hanno un’identità, non hanno scelto di lavorare! Bisogna ridurre al minimo il loro sfruttamento e crearne di nuovi è assolutamente amorale, poi la commissione europea ti rompe il cazzo, meglio ficcarci un cristiano. Ma tu lo sai perché mi hanno dato l’ergastolo?”
“No.” La voce finì di cantare. Silenzio. Una melodia solleticò tamburellante quei quattro timpani. Una voce più calda vi batté parole con un passo di marcia.
“Il giudice ovviamente aveva l’esame del sangue che mi avevano fatto dopo. Ma ha ben deciso di dare una mano a un magistrato della commissione. Caso voleva che il cazzo piccolo fosse uno stronzo a cui avevo scopato la moglie tre anni prima e lo sapeva. La tessera della FAI ce l’avevo, frequentavo poco, ma ce l’avevo… Non hanno mica deciso di passare sopra gli esami del sangue. Sì, era drogato, ma non è colposo… Voglio tornare sulla terra. Due mesi che siamo qui? Quanto? Mi fa schifo. Ci torniamo se lavoriamo tutti. Se cooperiamo. Devi lavorare Raffae’, non si scappa!”
“Me manc’assaje o’ ragù pappuliat.”
“Anche a me… Anche a me manca il ragù e la pasta solida.”
“Me manc’a gravità.”
“A chi lo dici!”
“Me manc’a terr’! Teng’a terra che pesa sott’e piedi, Benito…Teng’a terra che pesa!”
“Non mi chiamare Benito. Benito Mussolini era direttore dell’Avanti!, mio padre era socialista. Io sono anarchico… Ci sono un botto di terre rare là sotto, Raffae’, vogliono le terre rare che ora non le trovano più manco su Marte! Portiamo loro le terre rare e fra vent’anni ci mangiamo la pasta al ragù!” PERCHÈ HA IL CUORE, TROPPO, TROPPO VICINO AL BUCO DEL CULO canticchiava, canzonante, lo stereo. “Voglio muri’…” NELLE NOTTI INSONNI, VEGLIATE AL LUME DEL RANCORE… “Hai ammazzato un botto di gente, Raffae’, cazzo vuoi?! Gente per bene. Hai fatto ammazzare magistrati, io passavo spesso da piazza Ilda Boccassini. L’ultima volta c’era uno stand di non so quale partito politico della tua cara amica destra che cercava di convincere a legalizzare la vendita delle auto volanti. Referendum che fortunatamente Fiat and company ha perso per l’ennesima volta, che adesso avremmo i grattacieli di Bologna dei groviera il sabato sera, con la gente ubriaca, ‘ioccai.” “Si’ proprio nu’ cumunist’ guagliu’. Nu’ cumunist’e sfaccimm ” “Tu hai fatto sparare a un ragazzino, tuo scagnozzo, da un poliziotto. Per fare il figo e dimostrare agli altri che ci avevi le forze dell’ord… No, vabbe’, roba da fantascienza!”
“Son stronzate!”
“Manco sei pentito!”
“Hai voglia, se mi son pentito! Sentire ‘a terr a milioni ‘e chilometri di distanza ti fa pentir’ d’esser’ nat’. Ma nun m’venì a parla’ de pientimento, tu che sei colposo! Io perlomeno agg’ dat’ ordini, teng’a colpa…Ma tu?! Tu nun tien’ manc’ o’curaggio di dire: sì, sono n’anarchico e agg’accis volontariamente! No, nun sia mai! Sì, no, sono n’anarchico ma in fondo agg’accis pecché me facevo! Ero nu’ tossico! Nun’è colpa mia! È colpa di don Raffae’, mancato pentito, quindici arresti, ventuno condanne, Don Raffae’, famme ‘o cafè…Fai ‘na cosa, Oninìn, accireme! Trova il modo! Cà nun ce la faccio a passa’ cinque anni della vita mia. Sono venuto qui pecché a me pensav’ di cavarmela meglio. È meglio chellà, o carcere duro, almeno lì tenev’ i piedi pe’ terra.” “Tu te lo meriti tutto questo, io no.” E ALLORA LA MIA STATURA NON DISPENSÒ PIÙ BUON UMORE… “Io merito ‘e murì e allora accireteme.”
“Ti ammazzo io se vuoi.”
“E fallo!”
Se non fosse stato per la musica, ci sarebbe stato un silenzio, lungo.
“Se saranno stelle, esploderanno… Tu non lo sai neanche se sei pentito o meno. Ma io ti faccio una promessa. Fra due anni, ne arriveranno altri. Appena possiamo sostituirti, io mi prendo l’onere di ammazzarti. Lo faccio con piacere. Ho ammazzato dei cavatori, posso ammazzare anche te!” “Io vulev fare ‘e chitarre.” NON CONOSCENDO AFFATTO LA STATURA DI DIO. “Non volevi fare il mafioso?! Il liutaio volevi fare?! Ci credo, sì, sì certo!” Silenzio. Ancora. Era l’ultima canzone della sequenza.
“Sì cert, manco ‘o cazz’! Quann’ero piccirrill’ avevo visto nu’ servizio di un tizio che le fabbricava. Mettersi là, modellare quel legno, accordarle! Che bellezza! Ma vuoi la verità?! Ci stava la fame, la mafia, la fame nera, e ci finisci dentro, poi…E accussì accumienc’accidere, prima uno, poi n’altr’. Fai carriera, diventi nu’ boss… T’sient’ nu’ Dio! T’sient’ nu’ Dio! Sei un Dio. ”
“Raffae’, toglimi questa curiosità. Ma tu… Sei pentito di quello che hai fatto o no?”
I due si fissavano: l’uno sorrideva, l’altro aspettava la risposta, una risposta che non sapeva darsi. Partì una nuova canzone… COSA HO DAVANTI, NON RIESCO PIÙ A PARLARE, DIMMI COSA TI PIACE, NON RIESCO A CAPIRE, DOVE VORRESTI ANDARE, VUOI ANDARE A DORMIRE…