Mancano cinque minuti alla chiusura delle casse e Mangilda compare. Mangilda non si affaccia dallo scaffale, Mangilda lo affronta voltandolo con grande esuberanza. L’esuberanza è tutta nei suoi vestiti: il rossetto marcato delinea perfettamente le sue labbra signorili; l’ombretto turchese gioca dolcemente sulle sue palpebre ad azzurrarle il viso; l’orecchino, un bulbo smeraldo piazzato sul lobo risplende; l’enorme pelliccia a striature tigranti aggredisce gli occhi portando un che di sorriso. Mangilda volta l’inerme scaffale supermercatico dei biscotti e compare di fronte al commesso di spalle.
Ventuno, ventidue, ventitré, ventiquattro. Il ragazzo sulla trentina sistema le zucchine viola lungo la cesta. Le mani sistemano, riordinano, i guanti in plastica trasparente gli si increspano sulle dita, mentre svuota il carrello dei prodotti e riempie le ceste per la vendita della frutta e degli ortaggi. Trentatré, trentaquattro, trentacinque. Non conta le zucchine perché deve, adora contare: lo distrae. Chissà come starà, chissà, chissà, chissà, si dice in mezzo a numeri e prima di sentire…
“Mani in alto!” Una voce di donna lo minaccia.
Mangilda, banana in mano punta il pettorinato (con il logo supermercatico) ragazzo, alto bell’imbusto!
“Signora, posso fare qualcosa per lei?” Stenta a non sorridere, la donna sui settant’anni con la banana puntata a mo’ di pistola è un gran spettacolo da raccontare ai colleghi. Ma è pur sempre una cliente!
“Vurdio! Ma non mi riconosci?” Il ragazzo capisce, il sogghigno trattenuto si fa sorriso sereno.
“Lei deve essere Mangilda. O mi sbaglio?”
“Oh, mi scusi, l’ho scambiata per… No, ma lei… Ma vuole vedere che lei non è mica… L’ho scambiata per suo fratello! Me lo avevano detto che eravate identici! Mi scusi!” La donna gira l’angolo scaffalico per restituire al legittimo carrello la banana usata come arma.
“Ma si figuri, Vurdio non lavora qui da tre mesi. È stata un po’ assente eh! Che fa?! Ci tradisce per la concorrenza, signora?! Che ci combina?!”
“No, io? Tradirvi?” Ricompare con un detersivo in mano e si avvicina al giovane.
Il ragazzo se la trova davanti. Eccola, una donna piccola, ma perfida dietro la cattedra, ma dolce quando poteva aiutare, ma perfida quando non ti impegnavi. Mangilda, non avercela mai contro… Anche perché, ad averla dalla tua parte è uno spasso! Ricorda le parole del fratello, due mesi e mezzo prima gliel’aveva detto. Uno degli ultimi discorsi fatti con lui…
“Mai, mai, mai tradirvi! Pensi che faccio la collezione coi punti ogni anno, puntualissima! Mi alzo alle cinque come un pugile, quando c’è da fare la fila per il premio di settembre! Corro proprio a prendermi le tazze! Che ti fanno pagare il triplo del loro valore! Però mi ci impegno per prenderle sì! Come ogni scemo che fa la raccolta punti! Mica faccio la furba io! La domenica, è sempre al supermercato MAIDA! Così compro, spendo, e posso farmi fregare acquistando due tazze che dicono di regalarmi coi punti e poi me le fanno pagare!”
“Senta, ma… Mi viene naturale chiederglielo come se la conoscessi. Glielo chiedo per mio fratello! Come sta?”
“Vuole trattarmi come se fosse un mio ex studente?”
“Già che ci siamo!”
Mangilda sorride radiosa di denti di una dentiera che pare madreperla.
Il ragazzo sorride. Si trovano molto simpatici.
“Mangilda, no! Mi risparmi!” Il ragazzo sui trent’anni ha le mani in alto e il solito sorriso. La barba è fatta male, come suo solito.
“Non la risparmierò! Fratello di Vurdio di cui non ricordo mai il nome!” Mangilda carica la pistola-banana.
“Bang!” Onomatopea pianissimo fra il vuoto dei corridoi.
Uno stuolo di luci al neon illuminano un ragazzo che simula un colpo d’arma da fuoco al cuore con una mano sul petto. Ma poi fa un’espressione compiaciuta.
“Doveva sparare più in alto, Mangilda! Con mio fratello eri più spietata! Dopo tutti i tuoi attentati al mio ex collega Vurdio ci hanno dotati di casacche anti-proiettile!” Mangilda ride. L’idiozia dilaga e ne è contenta. Mancano tre minuti alla chiusura delle casse.
“E non solo!” Rincara la dose il ragazzo casaccato con lo stemma MADAI, rosso, bianco, verde con la I maiuscolissima, una foglia al posto del punto; che bel logo! “Non solo! Abbiamo anche noi le pistole!” Anche il ragazzo estrae una banana, ma dopo averla puntata ride senza sparare.
“E allora! Come si racconta il cosa che si dovrebbe raccontare, se solo se ne si avesse voglia, caro fratello di Vurdio?” I due si ricongiungono al cospetto di una parete di vini che non osano intervenire e interrompere. Il vino porta buon consiglio, solo quando è stappato del resto!
“E che le dico?! Si lavora! Qui si deve lavorare! Ma lo sa che ho sentito al telefono proprio l’altro ieri mio fratello e mi ha detto che lei conosce-”
“No, mi scusi, aspetti! Prima di tutto le cose importanti: come sta quel poco di buono? Gli pesano le tre ore di differenza o là a ballare con le ballerine sulla spiaggia è felice?”
“Mah… Ma ora mio fratello se le è mai filate le sue compagne di classe?”
“Ma io ci ho provato a fargliele guardare! Nulla! Neanche se lo minacciavo col quattro! Che secchione!”
“Si fosse mai divertito, Mangilda! Macché ballerine e ballerine! Lo fanno sgobbare peggio di quanto si danno da fare gli acari sul mio divano, ma almeno lì la sua laurea vale qualcosa.”
“Sul suo divano?”
“No, Mangilda, la smetta su! Là, fra gli isolani!… È contento! Certo, tre ore di differenza… Ma quando lo hanno chiamato piangeva. Prima di partire mi ha fatto tutta una storia su di lei, che senza di lei mai si sarebbe laureato! Che ora finalmente-”
Il ragazzo si ferma. Mangilda finge commozione con un dito beffardo su una punta d’occhio che sogghigna.
“Quel ragazzo! Così buono! Così serio! Così dolce! Non mi sorprende che non veda una donna neanche col binocolo!”
“Questa era cattiva…”
“Cattiva! Avesse capito qualcosa dei testi che gli ho fatto studiare avrebbe compreso con perspicacia che gli universitari sono tutti dei falliti, i militari sono quelli furbi, gli imperatori muoiono presto e le donne vanno tutte deflorate! Invece di darsi all’esercito, ha fatto l’universitario! Povero fesso! E ora vorrebbe darmi pure la colpa di questo scempio?! Ma ce l’ho mandato io a tre ore di fuso orario di distanza a spalare polvere in mezzo a papiri ammuffiti di una lingua incomprensibile come l’Acrelico?! Fammi scegliere il vino, va, già che ci siamo!”
Col dito screpolato dal tempo indica le bottiglie di vino. Si impettiscono, in posa, passate in rassegna dal militaresco riflesso della punta dell’indice. Le etichette son tutte uguali, color carta ingiallita, non hanno fantasia, tutte le scritte di un rosso scuro.
“E poi… Guardi quanto ha tribolato! Invece di ingannare lo stato e non fare una seppia dalla mattina alla sera, spesato, in divisa, con le ragazze che ti si avvinghiano a quella tremenda canna di ferro che è la pistola che porti in fondina, no! Invece di passare le notti a pattugliare il nulla quantistico di queste stradine desolate di provincia e finire dal panettiere alle quattro a mangiarti il cornetto che non ha ancora venduto al bar all’angolo, bello caldo! Appena sfornato! Neanche dichiarato, ma te lo vende lo stesso! Invece di tutto questo, lui che si sarebbe meritato di tutto, si è fatto il segno della croce, si è sparato a perdere la vista sui volumi, si è fatto santo e martire esami dopo esami, e lo hanno crocifisso con una laurea che, e diciamolo, gli è andata bene! Lo ha portato in grembo al mare, là, dopo quattro ore d’aereo, lontano da casa. E lui neanche parla la lingua, parlicchia a stento, mastica, ma poco, quella che si parlava là duemila anni fa. Per cosa? La passione? Gliela insegno io la passione, caro fratello di Vurdio, guardi che rosso d’annata!”
“Ma quale annata! È dell’anno scorso! Questo Mangilda fa schifo, costa otto Gual e settantacinque centesimi per un motivo!”
“Figliolo, crede me ne freghi qualcosa?! Sono stata con un militare per venticinque anni! Mi sono fatta mezza della sua caserma e mi sono innamorata dei suoi cadetti anno dopo anno, o mi sono costretta, forzata a innamorarmene, meglio dire così… Con uno sono stata per otto anni e per sette e mezzo mi ha picchiato a dovere, pugni nei denti! La dentiera me la sono fatta molto presto, io. Quello schifo d’uomo!”
“Ma non poteva lasciarlo prima?”
“Avevo le mani legate. Qualcuno voleva che io stessi con lui. Forse era lui, forse quel qualcuno ero io. Forse nessuno dei due ed era proprio mio marito, chi lo sa! Mio marito, l’ho visto fottere soldi allo stato e tempo alla mia vita, facendo un lavoro inutile come quello della forza dell’ordine in una cittadina con un tasso di criminalità pari a quello della pulizia del tuo divano, caro il mio trasandato giovanotto! E mio marito… Quel che non mi ha combinato mio marito! Creda me ne freghi qualcosa di bere un vino dall’ottima sapidità?! Le persone giocano, giocano con la vita e così la fanno appassire. E io per questo voglio più passiti possibili. Non me ne importa nulla, io spendo poco ma mi ubriaco sempre e son contenta! E ora mi è venuta voglia di coniglio con questo altro vino, mentre questo me lo sgolerò cucinando. Fuggo. Mi saluti quel pazzo di tuo fratello!”
Cinquantadue, cinquantatré, cinquantaquattro, cinquantacinqu… Il ragazzo si volta di scatto, estrae una pistola, spara. Il ragazzo vede Mangilda che chiude gli occhi, per lo spavento li chiude!, mentre lo schizzo d’acqua la colpisce sulla pelliccia nera. Tanto sussulta che la banana le cade dalle mani.
Ride Mangilda, scossa dalla pistola acquatica e plasticheggiante: tende all’arancione quella trasparente serpentina di piccole rientranze traslucide di cui è composto il calcio, il cane, la canna. Ride appoggiata a una colonna di roboanti pacchetti di tutti i colori: contengono, alcuni, patatine piccanti.
“Ma sei matto?! Ma ti licenziano!”
“Ma se il mio capo reparto manda a fare in culo la gente! Qui ne vedo di ogni! Comunque io ho fatto il salto di qualità. La prossima volta questa calibro nove ad acqua la carico con il vino! Quello da due Gual!”
“Meno è di marca, più mi sento bene! Io i soldi li spenderei solo in libri di primissime edizioni, rilegati con la miglior pelle, miniati se possibile con le migliori miniature! Se me ne bastassero… Peccato li sperperi tutti in vino da due soldi!”
Il ragazzo re-infila la pistola nella tasca.
“Mangìl, lei è un soggetto! Ma mi dica una cosa, ecco! L’altra volta le stavo per chiedere, ma a stare dietro a tutti i discorsoni che fa mi sono perso e mai più ritrovato. Mi dica un po’: ma è vero che lei è pappa e ciccia con Indina? Me lo stava dicendo mio fratello al telefono, la penultima volta che l’ho sentito.”
“E tu come la conosci Indina? Certo, chi te lo ha detto?”
“Mangìl! Andavo al tecnico! Indina faceva la bidella da me. Ero sempre con lei! Era un’amica. Mi copriva sempre quando mi beccavano che fumavo le canne, diceva che non ero io, che mi aveva visto, che sì! Ero rintanato in bagno, ma oh, io, macché, fumare io?! Sa quante volte mi ha salvato il fondoschiena? Si è resa così indispensabile che mi fece la torta di compleanno lei, per i diciotto.”
“La adoro per questo! Ma guarda qui che scemo che sei! Mi hai inzaccherato tutta la pelliccia!” Mangilda fulminea gli arpiona l’arma-giocattoleggiante e ci giocattola sbrodolandolo d’acqua a sua volta il giovanotto, che le riprende l’arma subitaneamente!
“Che inzaccherato?! Che è acqua! Io e lei come dei bambini! Questa mettiamola via che sennò facciamo danni!”
“Sì, siamo due bambini. Come me e Indina. Siamo sempre a scherzare e ubriacarci e scherzare e ubriacarci.”
“E poi come ci ritorna a casa, la sera? Le vorrei far notare che i bambini non si ubriacano.”
“I bambini non si ubriacano e questo conferma che sono tutti delle palle al piede. Mai avuti, felice così. Figliolo! A casa io non ci ritorno perché non mi ci levo neanche. Io sono già a casa, è Indina che è a casa mia.”
“E Indina ce la fa a tornare a casa?”
“Ma Indina perché dovrebbe tornare a casa quando può stare da me? Dorme sul divano, è un divano letto.”
“Vivete insieme.”
“Ma tuo fratello?” I due si guardano. L’arma in mano al ragazzo che ancora non l’ha infilata in tasca alla fine. Non sanno che dirsi? Forse…
“Ma mio fratello, eh! Mio fratello ha un problema fisico Mangilda, che io non ho e ogni volta che ci sentiamo devo fargli da psicologo perché non sa accettarlo. Volevo parlargliene da tempo, magari lo sa di cosa sto parlando.”
“Eh se lo so. Si è confidato. È un problema. Lo è. Il mondo non lo considera tale. Lo è. Si è rifugiato nei libri per farsi grande fra le pagine, perché ha paura di quelle sue dimensioni minuscole. Ho cercato di fargli capire che la grandezza di un uomo si misura al di là della sua dimensione, metri, centimetri, millimetri, tutte idiozie! Ma lui piangeva e singhiozzava e mi diceva: ‘mi faccio schifo’.” Dice con tono serio, nessuno scherzo. Un’altra volta ancora, il supermercato vuoto, sette minuti alla chiusura. Certo, viene sempre dieci minuti prima di chiudere questa donna dai denti di porcellana, commenta per l’appunto il ragazzo, guardando l’orologio.
“Ti fai schifo gli ho chiesto? Non gli ho mai detto che lo capivo. Solo i belli dicono che la bellezza non conta! Solo una donna può dire che le dimensioni non contano con altrettanta leggerezza. Per un uomo, è un problema. Ha preferito castrarsi rifiutandole una a una. E pensare che è un ragazzo di un fascino… Di una bellezza, gli morivano tutte dietro! Ma lui… Che mascherata che si era costruito! Il tenebroso studioso, topo di biblioteca che se ne fregava. Lo adoravo. Ha continuato questa mascherata fino all’università, un po’ perché la passione gli era venuta. Quando non vinceva un concorso che era uno… Ed era in crisi, in crisi nera, venne da me a piangere… Lì vide che da me c’era Indina! Mi parlò, erano due anni fa. Sarebbe diventato un commesso piuttosto. Sono stata io a trovargli il lavoro qui! Mi raccontò di tutto il nero che si teneva dentro… Ma tu non ce l’hai il suo stesso problema? Siete fratelli.”
“Non così marcato. Però io me ne sbatto a differenza sua.”
“Non è una cosa scontata da fare secondo me. Io sono sempre stata una donna di una bruttezza infinita fino alla magistrale. Quando imparai a tenermi, divenni bella tutta d’un colpo! Per carità, gli uomini mi avevano sempre desiderata. Sempre a cercare passere, voi cacciatori. La peggior razza di predatori.”
Il supermercato sta per chiudere sul serio: tuona anche l’altoparlante con un che sibilante, per via di un gracchiare che ha un ché quasi post-bellico.
“Ma li cambiate mai i radio-cosi lì?”
“Finisca che mi interessa, che viene sempre all’ultimo tu! Guardi se fuori non è già buio pesto.”
“Mi avete improvvisamente amata in massa. Si ama una sola persona, ma fidati, farsi amare è una cosa perfetta me la moltitudine. Restituii loro tutte le volte che mi ero sentita inutile come… il residuo delle matite una volta temperate. Quanti ne ho sottolineati di libri per dimenticare gli uomini che mi avevano voluta, ingannata, abbandonata. Montagne di libri! Che passione mi son fatta venire fuori per quei libri. Già un po’ ne avevo, ma l’amore… La mancanza di amore… Quello, quello è tutt’altra cosa!”
“Stanno smontando qui baracca e burattini. Indina come sta?” Chiede sottovoce.
“Una donna splendida come lei?! Sta sempre bene!”
“Ah, non penso. Ne ha passate di ogni. Il marito l’ha tradita fino a portarla a farla ammattire.”
“Il marito di Indina l’ha torturata! Mai le ha messo le mani addosso. Per fortuna, ma lei lo ha picchiato diverse volte e non dico che abbia fatto bene. Con quelle manine non gli ha mai fatto niente, certo, non era una cosa carina però… La cosa strana è che, poi, dopo, si è sempre cercata fecce simili… Se c’è una cosa che mi ha insegnato mio marito, ecco, è che a noi esseri strani, e non c’è niente di più strano di un essere umano, piace vivere una seconda volta quel che ci ha ferito nella prima. Una storia che si ripete senza mai diventare una farsa. Riviverlo. Riviverlo. Per precipitare da quel dolore migliaia di volte allo stesso modo. Un alto, uno sbalzo e poi il vuoto. Ah, mio marito il suo trauma ha voluto riviverlo per forza. Mi ci ha buttato dentro il suo gioco perverso. Povero pazzo! Vado che mi scade il formaggio che ho nel carrello, va!”
La scena è concitata: Mangilda estrae una pistola a pallini! Il supermercato è vuoto. Il ragazzo smette di contare: undici è l’ultimo numero. Mangilda spara. Un pallino lo colpisce sul ginocchio. Il ragazzo fugge, Mangilda rimane ferma a guardarlo sparire, mentre corre per il lungo, enorme atrio illuminato e vuoto del supermercato. Apre una porta: un maniglione antipanico viene spinto con prepotenza. Sparisce dietro la porta che quasi si chiude, sparisce là dietro, laggiù quel ragazzo dalla barba sempre più lunga. Mangilda lo vede ricomparire. Un enorme fucile super-mega-iper-fucilante si barcamena barcollante, dondolando su e giù a ogni passo. Mangilda prende a ridere e si nasconde dietro il reparto ortofrutticolo. Banane, carote, melanzane arancioni, tutti i colori del panorama culinario stanno in quelle ceste a mo’ di forme oblunghe e disorganiche. Quelle forme, senza muoversi, inermi, ridotte alla paura, neanche tremano. Il fucile transita di fronte a loro. Mangilda cerca di coprirsi dietro le ceste, ma nulla, sgamata, viene fucilata!
Esplosione: un fucile a coriandoli non fa male a nessuno, uccide però chi ha mancanza di ironia, soprattutto se imbracciato da uno che non ha molto tatto. Ma il ragazzo di tatto ne ha e Mangilda possiede l’ironia: impestata di coriandoli tutti, sul volto, a insozzarle la bocca, il naso, gli occhi, non ha neanche più la forza per respirare tanto ride.
“Non si faccia prendere un infarto, la prego. Vado a ri-posare il fucile al plasma che qui mi licenziano sul serio, se arriva l’ispezione dell’ultimo minuto! Sempre in orario di chiusura lei eh! Me lo ha perdonato solo il capo reparto perché è scemo come me!” Dice fuggendo. L’orario di chiusura le appare così sereno ora che si è fatta una doccia di coriandoli.
“Giovanotto, speravo tanto tuo fratello fosse scemo, tanto scemo quanto te, ma lui si è sempre limitato a pescare delle banane e puntarmele contro, quando gli facevo gli agguati qui al supermercato.”
“Ma com’è nata questa cosa?”
“Eh, quando si confidò con me, quella volta, due anni fa, il nostro rapporto cambiò. Io l’avevo sempre visto bloccato, ma non avevo mai capito perché. Poi un giorno si apre, si pente, si redime. ‘Non ottengo nulla, tutta la mia conoscenza, serve a me, non ci faccio niente, professore non divento, nessuno va in pensione, io non ho concorsi, quel che ci sono, son truccati, che faccio?! Il commesso!’ Mh… Bello schifo! So tradurre a menadito tutti i più grandi del nostro grande passato e faccio il commesso… Senza nulla togliere a te, che hai fatto l’istituto tecnico.”
“Ma io il commesso l’ho sempre voluto fare. Io adoro i reparti, i prodotti, ‘ste luci, mi mettono felicità. Poi se non stai in cassa, è anche un lavoro tranquillo. Qual è il problema?”
“Tuo fratello voleva essere grande, come potesse diventarlo con le lettere classiche non lo so. Hanno tradotto tutto, tutti i libri scopribili son stati scoperti, li hanno dissotterrati, cosa puoi dare di nuovo?! Però lui voleva fare ricerca, non insegnare. Ma dove vai, gli ho chiesto. È scoppiato a piangere e in quel fiume di roba si è messo a parlare di questo suo tarlo. Confesso che mi è parsa una questione ridicola all’inizio. Dimensioni, misure, ossessioni sulle dimensioni e sulle misure. Ma per come me l’ha raccontata… Uno che non si è mai davvero avvicinato a una donna per paura di essere deriso e l’unica volta in cui si è aperto, ha ceduto, aprendosi, lei è fuggita, dicendogli proprio che sì, era quello il problema… Viviamo in questi corpi no? Se fossimo carote, ci preoccuperemmo di essere più arancioni delle altre. Essere arancioni non ci importa, perché carote non siamo. E se ne vediamo una sbiadita che piange… Ma che piangi? È solo un colore. Facile! Mi ci sono immedesimata… Tanto. Così come mi sono immedesimata in Indina. Quando abbiamo preso a frequentarci, all’inizio, lo abbiamo fatto per necessità, lei aveva avuto un problema in casa e si era ridotta a chiedere una mano a mio marito. Lei e mio marito erano diventati amici, lei era andata in commissariato sperando di poter denunciare suo marito per adulterio… Le risero in faccia tutti, tranne mio marito. Che coppia sarebbero stata! Mio marito morì di infarto due giorni dopo che lei si era trapiantata a casa mia… Ce ne dicemmo di ogni all’inizio. Lei aveva sempre sentito la campana di mio marito. Il suo trauma, quello di mio marito, e il trauma di Indina erano lo stesso…”
“Tradimento.”
“Avevo tradito mio marito, sì. Poi lui trovò un modo per punire sé stesso e me.”
“Come?”
“Nessuno lo saprà mai. Neanche chi sente sproloquiare quando sono ubriaca. Nutro un odio e una compassione per quel povero schizzato… Però, ti dico che possedeva delle fotografie del mio tradimento. E che un professore che tradisce non subisce la gogna, una professoressa che tradisce viene radiata. Mi ricattò. Cosa mi fece fare… Forse solo con tuo fratello me lo sono fatto sfuggire. Gli alti e gli sbalzi della vita. La vita la cavalchi. La vita degli altri… La cavalchi in alti e sbalzi. Vabbe’, Indina me ne disse dietro per mesi, pur non ritornando mai a casa. Quando capii che a casa sua ci poteva tornare le chiesi perché non ci tornasse dato che con me era sempre a ferri corti. Mi disse che con quei ferri corti alla fine ci si trovava bene. Le ricordavo suo marito in qualche modo… Ci siamo aperte, capite. Ha fatto con me quello che non ha fatto con suo marito e io ho fatto con lei quello che non ho fatto con il mio. Abbiamo dialogato come due persone con un minimo di voglia di ascoltarsi. E con Vurdio è andata così, l’ho ascoltato… E ho scoperto che il suo problema era simile al mio. Tanto lui si vede fisicamente inadeguato, tanto io mi ci sentivo, in un’altra maniera, in un altro senso, in un altro periodo… Ma essere brutti, essere schifati, fattelo dire da chi ha studiato i classici, è sempre un problema attuale. Ci sono dinamiche che sono eterne.”
Il supermercato è vuoto. L’altoparlante dovrebbe riprodurre parole, parole che il cassiere dice. Si sentirebbe: il supermercato chiude fra due minuti. Non si sente niente, l’altoparlante è fisicamente morto, ma nessuno lo sa. Il suo decesso, per via del deterioramento finale del magnete permanente, non è ancora stato notato. Lo nota proprio ora il cassiere provando a parlare.
Intorno a loro, vicino ai due, sui due, i neon, il silenzio, gli scaffali pieni, i corridoi vuoti, un sacco di ortaggi e frutti dalle forme sferiche e allungate, colorati, sgargianti, indecenti.
“Le persone che non sanno fare altro che rovinare la vita agli altri. A loro stessi e agli altri. E fidati, a volte fra rovinarla a noi stessi e gli altri, non c’è differenza. Ce li creiamo noi gli alti da cui cadere. Gli sbalzi che fanno i nostri corpi quando tocchiamo il fondo. Alti e sbalzi… Ma senti… Oggi non vogliono chiudere, ci lasciano qui! Neanche hanno annunciato chiusura!”
“Mio fratello ti saluta.”
“Finalmente ti sei ricordato di dirgli che siamo diventati amici.”
“Sono stati mesi difficili là, è andato a cercare la grandezza in mezzo a quei papiri dopo la borsa di studio vinta laggiù e ha scoperto che gli faceva schifo… Però, ora che ha smesso di rincorrersi e rincorrerti, tu il suo faro, la sua guida, la donna che lo ha ispirato… Ora che è tornato a concentrarsi sulla roba che capisce solo lui, quell’alfabeto strano, quelle lettere… è ossessivo compulsivo per le lettere, gli alfabeti. Ossessivo compulsivo. Lui la mente letteraria, io matematica, ma lui per la letteratura… E però, insomma, adesso che è tornato a dedicarsi alla materia senza inseguire qualcosa… Gli sta tornando a piacere. Gli piace quello che fa, meno il posto.”
“Ma… Cosa non gli piace di quell’isola? Quelle distese di silicio e ballerine e faraglioni sul mare stupendi e tutta quella vita con le casette bianche e i templi e gli edifici polverosi con le enormi colonne del secolo scorso, che sono belli pure quelli? Cosa non gli piace di quel mondo movimentato?”
“Troppa vita. Troppi alti e troppi sbalzi. Lui preferisce starsene in mezzo ai libri.”
“Contento lui. Del resto, anche casa mia per Indina è una specie di rifugio, no? Tu da cosa scappi, da cosa ti rifugi, Perilio?” Il ragazzo non ci pensa neanche un secondo.
“La noia. Carissima Mangilda, te lo dico, io fuggo dalla noia.” Compare un commesso, dice cose, l’altoparlante non funziona, stanno chiudendo, tutto sbrigativo, i due si salutano, raffazzonatamente. Come una donna che si sbriga a fuggire dalla cassa chiudendo il sacchetto con la spesa che ci ha appena scaraventato dentro, così Mangilda raccoglie le ultime frasi e gli ultimi sguardi e corre verso la cassa. Ha coriandoli sui capelli.
Perilio sta sistemando cose sugli scaffali, oggetti nei cesti, numeri dentro la sua testa contando come… come suo… come… no! All’improvviso smette! Forse, per la prima volta, da quando è bambino e si è accollato questa strana mania di contare, forse, per la prima volta, non ne sente il bisogno.