Peggiore degli altri due film dedicati al personaggio di Paul Rudd, ma ben gestito all’interno del sistema complesso dell’MCU che, dopo i tanti tentennamenti della Fase 4, sembra finalmente riprendere in mano le trame del Multiverso
Ci avevano lasciati con il luttuoso e transgenerazionale Black Panther: Wakanda Forever (R. Coogler, 2022), ora Kevin Feige e co. tornano con il terzo film dedicato ad Ant –Man (Paul Rudd) investito dell’onere di dare avvio alla Fase 5 dell’MCU.
I due film precedenti dedicati ad uno degli avengers più comici dei fumetti di Stan Lee sono tra i migliori prodotti del grande baraccone Marvel, complici l’autoironia, la regia mai sbilanciata di Peyton Reed e la chimica tra i protagonisti (Rudd, Lily, Douglas e Pfeiffer). Sarebbe stato forse meglio proseguire su questo filone auto – ironico e di poche pretese, capace di trarre dal personaggio solo il necessario per confezionare buoni stand – alone invece che inseguire presunte glorie d’epicità come si cerca di fare in Ant – Man and The Wasp: Quantumania.
Sarà che ormai Marvel è lontana assai dai fasti di Avengers: Infinity War o Avengers: Endgame, sarà che la delusione suscitata dalla claudicante Fase 4 ha indotto molti fan a gettare la spugna o sarà per l’alto tasso di aspettative che si erano create attorno ai primi teaser del terzo Ant – Man, sta di fatto che il film registra sull’aggregatore Rotten Tomatoes uno degli indici di gradimento tra i più bassi per un film dell’MCU (circa il 63% delle recensioni professionali positive).
Non bene la trama che riporta in auge la famiglia posticcia di Scott Lang/Ant – Man costretta a fare i conti con i segreti di nonna Janet (Michelle Pfeiffer, fra tutti la più notevole), finendo risucchiata nel mondo Quantico per poi trovarsi faccia a faccia con l’arci – villain Kang il Conquistatore (Jonathan Majors, macchiettistico e convincente solo a metà).
Le insidie sono molte, gli avversari temibili (?), gli amici di un tempo pronti a voltare le spalle, e se il M.O.D.O.K. di Corey Stoll (insensatamente recuperato dal primo film) risulta non solo stravolto e poco caratterizzato ma persino imbarazzante nella sua fisiognomica CGI, Bill Murray è talmente svogliato nella sua parte che entra ed esce di scena senza che nemmeno il pubblico se ne accorga. Per non parlare di Cassy/Kathryn Newton, figlia del nostro Rudd/Ant-Man, l’ultima di una sequela di eroine adolescenti “girl power” che ormai Marvel semina in qualsiasi lungometraggio.
Dal canto suo il regista Peyton Reed crede di fare un buon lavoro saccheggiando a piene mani dall’estetica di Star Wars (G. Lucas, 1977) e Viaggio Allucinante (R. Fleischer, 1966) ma questo non basta se deve scontrarsi con una sceneggiatura – scritta da Jeff Loveness – fra le più brutte ed insipide degli ultimi film targati Marvel, con battute inascoltabili e momenti gonfiati di palesi escamotage narrativi giusto per far rantolare il film verso un finale sbrigativo e confuso.
Sarebbe stato bello che il franchise dedicato ad uno dei supereroi tra i meglio concepiti dalla mente di Lee fosse rimasto nella comfort zone creata dai primi due film, due perle della filmografia MCU, invece che voler per forza buttarlo in situazioni e contesti che non gli appartengono.
Qual è dunque l’unico pregio di Ant – Man and The Wasp: Quantumania? Che dopo le trame cervellotiche di Eternals (C. Zhao, 2022), la sconclusionata festa pop di Thor: Love and Thunder (T. Waititi, 2022) e il funereo Black Panther: Wakanda Forever, finalmente Marvel riprenda in mano l’intreccio del Multiverso, definendo alcuni dettagli e portando avanti il filone principale ancora tutto da spiegare.
In tal senso è bene fare molta attenzione alle due scene post – credit che offrono un’anticipazione di quello che ci aspetta.
Che quello che accadrà sia poi accattivante e ben fatto dipende solo da quanta voglia abbia Kevin Feige di produrre bei film e assoldare buoni sceneggiatori