Il ritratto di oggi è dedicato al grande Jack London (1876-1916).
L’autore di memorabili romanzi d’avventura come Zanna Bianca e Il richiamo della foresta era – in realtà – un fotografo, un reporter di guerra, un giornalista sportivo, un pirata di ostriche e un cacciatore di foche, un cercatore d’oro nel Klondike ma, soprattutto, un avventuriero giramondo e pure un pò vagabondo. Ebbe una delle vite più straordinarie che io abbia mai letto (e invidiato). Attraverso i suoi lavori ebbe il pregio di narrare un’epoca e di incarnarne lo spirito. Nella sua breve esistenza visse almeno tre vite e tutte intense, tra alcol, morfina ed eccessi che alla fine gli presentarono il conto.
Nacque a San Francisco al tempo del selvaggio far west. Suo padre era un astrologo ambulante che mollò la famiglia quando Jack era ancora in fasce. Si vede che non era scritto nelle stelle. Poco male, la madre si risposò ma non mancò mai di raccontare a Jack mirabolanti (e talvolta esagerate) storie di suo padre che, a quanto pare, aveva fascino da vendere. Come il figlio.
Jack era di indole selvatica e crebbe con lo spirito d’avventura nel sangue. Finite le scuole elementari si imbarcò in una serie di lavoretti occasionali e non sempre legali; divenne pescatore di frodo per poi passare alla caccia di foche per finire come spalatore di carbone. Quando occorreva, levava le tende e viaggiava (a sbafo) sui treni merci. Cosa, questa, che gli costò qualche mesetto di prigione.
A diciott’anni aveva visto più mondo di tanti suoi coetanei e, con esso, saggiato la povertà dei disoccupati e la miseria con cui era in costante contatto; non poteva non aderire alle idee socialiste di Karl Marx. Partecipò a manifestazione, cortei e anche alla grande marcia di Washington chiedendo le solite cose: più soldi, orari decenti e sicurezza sul lavoro.
“Il mio posto in questa società era negli abissi, dove la vita offriva solo squallore e sventura, lì, sul fondo, carne e spirito erano ugualmente affamati e tormentati”.
Era però un lettore vorace e una mente brillante che lo portò a frequentare per breve tempo la Berkeley University ma senza soldi, ahimè, fu costretto a lasciarla. E qui, dovette capire l’importanza del frusciate perché poco dopo si recò in Klondike assieme ai cercatori d’oro. Ovviamente visse di pane e avventure, quest’ultime non sempre belle. Jack sopravvisse alla fame e allo scorbuto. Il frutto di tanta fatica non fu che un piccolo sacchetto d’oro. E, dato che i lavori manuali li aveva fatti tutti, si mise a fare l’ultimo: lo scrittore.
Correva l’anno 1898 e lui si trovava nell’Oakland. La scalata al successo letterario era una giungla allora, come oggi. E la descrizione delle innumerevoli fatiche per arrivare al successo, la troviamo nel suo romanzo autobiografico Martin Eden scritto parecchio tempo dopo. Comunque, il nostro, riuscì a vendere il suo primo racconto per soli 5 dollari. Il secondo, però, gli valse 40 dollari e la pubblicazione sulla rivista Black Cat.
Iniziò così a diventare popolare, complice un caratteraccio impetuoso e una parlantina che toglieva la pelle ai padroni quando toccava argomenti come le ingiustizie, i soprusi perpetrati ai danni degli operai e amenità simili. Era anche un uomo affascinante. L’ultimo dei romantici, se vogliamo. A inizio secolo (scorso) si recò a Londra e, durante il suo breve soggiorno visse per lo più in quartieri poveri mescolandosi ai vagabondi e agli operai fotografando, con la sua inseparabile Kodak, il vasto proletariato che viveva a ridosso dei docks.
Scoprì che essere poveri in Inghilterra era quasi peggio che essere poveri in America. Scattò decine di foto a visi e corpi deformati dall’indigenza. Qualche anno dopo, London riuscì a immortalare anche i soldati della guerra russo-giapponese, cui partecipò in qualità di reporter, e il successivo terremoto di San Francisco del 1906. Più tardi, tutti questi reportage vennero racchiusi in un unico volume dal titolo: Le strade dell’uomo.
Il successo gli arrise solo nel 1902 con la pubblicazione del suo primo romanzo: A Daughter of the Snows, in cui la protagonista femminile è un’eroina decisamente moderna alle prese con amiche prostitute e la voglia di indipendenza. Il lavoro gli fruttò 125 dollari. La svolta, però, arrivò l’anno successivo con Il richiamo della foresta, in cui compare il leggendario cane da slitta Buck. Il trionfo, stavolta, fu oltre ogni più rosea aspettativa: del romanzo vennero stampate sei milioni di copie. In un attimo il suo nome (e quello del cane) divennero famosi in tutto il mondo.
Fece presa la sua scrittura asciutta, molto naturalista e diretta. London riuscì a far conoscere il mondo selvaggio dal punto di vista degli animali, fornendo una prospettiva assai originale e inusuale. E anticipando di cento anni Piero Angela.
Si sa… successo chiama successo. Poco dopo vide la luce Il lupo di mare, un romanzo d’avventura il cui protagonista scampa a un naufragio per finire tra le grinfie del capitano Wolfe Larson, non esattamente dal cuore d’oro. La storia ha basi molto autobiografiche dato che Wolfe è liberamente ispirato a un marinaio che London aveva conosciuto in Alaska. Ma la consacrazione arriva con Zanna Bianca.
Soldi, un lavoro ben pagato e fama. Pensate che questo gli avesse messo i chiodi ai piedi? Ma via, non scherziamo. Ancora una volta, London sentì forte il richiamo dell’avventura e quale occasione migliore poteva offrire il fronte della guerra russo-giapponese? Vi si recò in qualità di corrispondente di guerra, ma ci rimase per pochi mesi. Erano più le volte che finiva in galera che in albergo. L’ultima volta venne accusato di aver aggredito i suoi assistenti giapponesi i quali gli avevano rubato il mangiare del cavallo. Per lui si dovette scomodare niente meno che Roosevelt. La misura era decisamente colma e London tornò a casa a giugno dello stesso anno.
Era uno spirito libero, ma organizzato e conscio che il successo andava guadagnato con il duro lavoro. Quindi ogni mattina si svegliava prestissimo per scrivere. Tra il 1900 e il 1916 completò oltre cinquanta libri tra romanzi e saggi, centinaia di racconti brevi e numerosi articoli sugli argomenti più vari. Molto forte in Jack London era la vena autobiografica, anche perché di cose da raccontare ne aveva! Come in La strada (1907), in cui descrive i suoi giorni da vagabondo o in John Barleycorn (1913), nel quale invece parla delle sue memorie da alcolista.
Ebbe pure il tempo di sposarsi. Due volte. Ma la donna che amò più di tutte, fu l’unica che non riuscì ad avere: Anna Strunsky. Era, costei, un’intellettuale russa giunta in America a 9 anni. Intrepida, coraggiosa e impegnata in battaglie sociali contro la pena di morte. Praticamente la versione femminile di Jack. Si incontrarono all’università e divennero subiti amici. Correva il 1899. Ma Jack era impaziente di mordere la vita mentre lei nicchiava, così lui sposò Bessie Maddern con cui ebbe due figlie. La relazione con Anna però, non si interruppe. Anzi, a un certo punto andarono a vivere tutti insieme allegramente.
“Sono malato di amore per te e ho bisogno di te.”
Scriveva Jack. E lei… muta. Anzi, fece fagotto. Lui soffrì tantissimo, il matrimonio andò in pezzi e lui si risposò con una placida e dolcissima donna di nome Charmian Kittredge, segretaria del suo editore e amica (ex, presumo) di sua moglie. Charmian era un porto sicuro, un luogo dove tornare dopo la tempesta. E la tempesta era Anna. Con lei tutto era tumulto, passione e sconvolgimento
La relazione extraconiugale andò avanti con il beneplacito di tutti. Pure del novello e moderno marito di Anna.
Tra un romanzo e l’altro, a London, venne l’idea di comprarsi un ranch. Capirete… vuoi non tentare la via dell’agricoltura? Ma, ancora una volta la voglia di viaggiare prese il sopravvento e, con la famiglia, partì alla volta del giro del mondo. Nel 1909 approdò in Australia, dove visse un anno. Risalgono a questo tempo i romanzi: Martin Eden e Il tallone di ferro, quest’ultimo di fantapolitica. Che tanto fanta non è visto che London immaginava l’ascesa al potere degli Stati Uniti di un ristretto gruppo oligarchico e dittatoriale pronta alla guerra pur di imporre il modello capitalistico. Vuoi vedere che anche lui era un filo veggente come il padre?
London tornò a casa nel 1911 a causa di gravi problemi di salute e riprese in mano il suo ranch. Avviò una serie di costosissimi lavori di ristrutturazione durati due anni circa al termine dei quali, vi fu un tremendo incendio che distrusse ogni cosa. Minato nel fisico e nelle finanze, London passò gli ultimi anni depresso e facendo uso di morfina per lenire i dolori ai reni. La dolce Charmian lo convinse a trascorrere qualche mese alle Hawaii ma, tornato a casa, morì ufficialmente per uricemia. Aveva quarant’anni e ancora migliaia di cose da raccontare, come testimoniano le numerose lettere e racconti che aveva tra le mani.
3 commenti
È incredibile pensare a certe persone che in soli 40 anni vivono così tante vite e da morti continyano a farne sognare.
Bellissimo pezzo.
Grazie mille!
Bellisssimo!!!