Il ritratto di oggi è dedicato a Oscar Wilde (1854 – 1900)
Tutti conosciamo almeno uno dei suoi aforismi. Fumatore incallito, allergico a qualsiasi lavoro, fu un saggista, giornalista, poeta, scrittore, critico letterario e drammaturgo irlandese; probabilmente l’esponente di spicco del decadentismo e dell’estetismo durante l’età vittoriana di cui fu un’autentica spina nel fianco.
Dal padre, chirurgo oftalmico, ereditò l’amore per le relazioni clandestine; dalla madre, poetessa irlandese, ereditò il carattere anticonformista. Ora, immaginate di calare nella Londra del 1880 un tipino come Malgioglio ma vestito con parrucche, piume, cravatte sgargianti e un pitone attorcigliato al collo. Tanto per rendere l’impatto visivo, eh.
Oscar Wilde aveva dalla sua, un’intelligenza fuori dal comune, una lingua ironica e sagace e una cultura classica di prim’ordine. Difficile togliergli la parola, impossibile non rimanerne affascinati.
Diventò popolare nei salotti del Ton prima ancora delle sue opere.
La maggior parte delle quali vennero accolte in modo contrastante nel corso della sua storia. In generale l’opinione pubblica gli criticava la mancanza di profondità o la troppa leggerezza o, peggio ancora, una certa vena oscena. Ma lui non se ne curava troppo.
L’arte, a detta sua, non doveva avere una morale ma servire solo al divertimento. E lui di divertimento se ne intendeva.
Trascorse un’infanzia serena, con un fratello, una sorella e una bambinaia. Poi, come da tradizione, si iscrisse al Trinity College dove si distinse per lo studio dei classici e per la sua personale rivoluzione anticonformista. Indossava calze di seta, giacche di velluto, pantaloni al ginocchio, strane cravatte e spesso passeggiava portando tra le mani un giglio o un girasole. Non erano molti i compagni che amavano farsi vedere in sua compagnia e nemmeno i rigidi insegnanti lo digerivano un granché.
Ma le sue doti di studioso gli valsero una serie di borse di studio che gli permisero di frequentare l‘università di Oxford e di viaggiare per l’Italia e la Grecia, con il suo mentore nonché ex tutore, un prete di nome John Mahaffy che doveva cercare di contenerne le stravaganze e le spese dato che il suo pupillo aveva le mani bucate. Poveretto. Il prete, ovviamente.
Il nostro non era un tipo affidabile soprattutto per quanto riguardava l’orario e infatti, all’ennesimo ritardo nel rientrare al college, gli venne tolta la residenza al campus e fu privato di tutti i benefici, il che lo fece vivere ai limiti della povertà.
Della sua situazione, Wilde incolpò tutti, tranne se stesso. Aveva pensato anche al colpo gobbo, ovvero sposare la facoltosa Florence Balcombe per risolvere tutti i suoi problemi economici ma lei gli preferì un certo Bram Stoker.
Wilde, allora, si rivolse alla borsetta di mammà, ma era chiusa a doppia mandata. E sempre per debiti dovette dimettersi dalla carica di Maestro della massoneria, alla quale era stato iniziato.
Alla fine, comunque, riuscì a laurearsi (1878) e pure a vincere l’Oxford Newdigate Prize con la poesia Ravenna.
Libero dagli studi, Wilde, si trasferì a Londra sperando di far fortuna. Prese in affitto una casa che lui trovava molto Bohèmien, ma che in realtà puzzava di muffa e Tamigi, anche perché il fiume scorreva a pochi passi. Iniziò a collaborare con il Pall Mall Gazette in qualità di recensore. Il suo nome iniziò a circolare negli ambienti teatrali e, complice il suo atteggiamento, presto Wilde divenne l’uomo di cui parlare e da frequentare.
Un influencer, insomma. Gli dedicarono pure la copertina su Vanity Fair.
Egocentrico e vanitoso, promosse il culto della persona e del dolce far niente; a chi lo provocava, rispondeva sempre in modo pacato cosa che non gli impediva di certo di lasciare il segno.
Sono fin troppo consapevole che si vive in un’epoca in cui solo gli ottusi sono presi sul serio, e io vivo nel terrore di non essere frainteso.
Tanta fama non poteva non arrivare in America, dove si era ghiotti di novità e stramberie del vecchio continente. Oscar Wilde, partì per una serie di conferenze il cui tema era l’estetica europea.
All’agente della dogana disse:
Non ho niente da dichiarare tranne il mio genio.
Ma non tutti apprezzarono il suo sarcasmo, non mancarono fraintendimenti e litigi. Finì che il nostro se ne dovette tornare a casa e pure di corsa.
Dopo un breve intermezzo parigino, tornò a Londra ma deciso a cambiare vita. Anzi, stile. Si fece un taglio di capelli nuovo, mollò girasoli, piume e parrucche e cercò una moglie. Possibilmente ricca di virtù (meglio se depositate in banca), che gli restituisse un po’ di quel decoro di cui si era fatto beffe per anni. E conobbe Constance Lloyd, giovane, graziosa e colta. Si sposarono nel 1884, non senza le perplessità dei parenti di lei e gli auguri dei parenti di lui.
Dal matrimonio nacquero due figli: Cyril e Vyvyan, che segnarono anche la fine della vita affettiva degli sposi oltre al fatto che Constance aveva iniziato a intuire il ginepraio di debiti in cui il marito la stava cacciando. La leggenda narra che Wilde pagò 50 sterline per avere due cucchiai. A questo bisognava aggiungere voci e pettegolezzi sempre più insistenti circa le frequentazioni maschili del marito.Da un punto di vista artistico, invece, sono anni proficui. Tra il 1882 e il 1891 videro la luce una serie di racconti tra cui il Fantasma di Canterville, il Principe felice, e diverse opere teatrali, oggi considerate capolavori, ma che allora non sempre vennero bene accolte; La contessa di Padova, per esempio fu una mezzo flop. Salomè fu difficilissima da rappresentare in teatro mentre Una donna senza importanza e Un marito ideale vennero accolte tiepidamente.
Il successo gli arrise con la rappresentazione de: L’importanza di chiamarsi Ernesto, ovvero una commedia degli equivoci che avrebbe fatto ammattire anche il Principe Totò. Il ventaglio di lady Wintermere, invece presentava un contenuto osceno. E fu, quindi, un altro successo al botteghino.
Dialoghi brillanti, trame fresche e originali furono senz’altro alla base della buona riuscita. Per quanto Wilde non volesse dare un significato “didattico” ai suoi lavori, in realtà ognuno contiene una morale e una critica all’ipocrisia della società vittoriana, tesa all’apparenza, al decoro, al matrimonio come mezzo per concludere affari. Nel 1886 Oscar Wilde incontrò l’allora diciassettenne Robby Ross e se ne innamorò. Qualcuno ipotizza fosse il primo amore di Oscar, fatto sta che Robby, scoperto dalla famiglia, alla fine dovette fuggire in Canada, ma continuò ad essere sempre un buon amico sia per Wilde che per i suoi figli, di cui curò pregevolmente gli interessi. A Ross seguirono altre storie, più o meno chiacchierate con personaggi talvolta dubbi e dalla pessima reputazione tesi a sfruttare la fama di Wilde più che ad amarlo.
Il 1890 venne dato alle stampe il suo unico romanzo: Il ritratto di Dorian Gray. Una sorta di Faust rivisto e corretto e purgato di certe parti che il pubblico non avrebbe digerito. La storia, (chi non la conosce?) gira attorno al culto della bellezza e della giovinezza per la quale, l’uomo del ritratto, farà un patto col diavolo.
Il romanzo ebbe un’eco vastissimo e gli portò nuove entrate e nuova linfa. Dopo un altro giro di conferenze sul continente, arrivò Lord Alfred Douglas. Il grande amore della vita di Oscar Wilde. Era di famiglia nobile ma con l’animo del mercenario e del depravato.
La storia con “Bosie” Douglas segnò l’inizio della fine della parabola di Wilde. Dal 1893 in poi, abbandonò il tetto coniugale così da essere libero di frequentare il nuovo amante e tutta una carrellata di compagnie maschili cui Bosie lo aveva introdotto, in barba alla legge che puniva l’omosessualità con la galera. Gli inglesi per un po’ fecero finta di non vederci, ma il padre di Bosie no. Constance, fiutando il pericolo dello scandalo, lo pregò di tornare a casa per il buon nome dei figli, ma niente…
Nel 1895 Wilde venne arrestato, processato e condannato a due anni di reclusione. A nulla valsero petizioni di illustri letterati (tra cui Emile Zolà) per ridurre la pena. Wilde fu l’unico a pagare e a uscirne a pezzi. Ah, Bosie non si preoccupò di andarlo mai a trovare e lui, dal carcere, scrisse il De Profundis.
Noi che siamo in carcere, e nelle cui esistenze non c’è nessun avvenimento, eccetto il dolore, dobbiamo misurare il tempo con i palpiti della sofferenza e la ricapitolazione dei momenti amari
Uscito di prigione, seguirono anni di peregrinazione, di povertà e di umiliazioni. Arrivò persino a derubare una persona e a chiedere la carità. A Napoli ritrovò Bosie che secondo la convenienza ora stava con lui, ora tornava dalla madre (che teneva i cordoni della borsa). La povera Constance, seguitava ad aiutare come poteva questo marito scapestrato ma dopo aver cambiato cognome in Holland e rifiutato di ricongiungersi con lui. Morirà poco dopo.
Tornato a Parigi, stanco e malato, al suo capezzale, Wilde trovò solo il buon Ross a cui chiese di far venire un prete dato voleva convertirsi e chiedere perdono per i suoi peccati prima di morire.