“Io pendo dalle sue labbra, è vero, ma se lei non vuole ascoltarmi e non vuole darmi un reale parere, io come faccio?! Per favore! Devo categoricamente risolvere il problema della donna delle pulizie!” Dice l’uomo giovane sulla panchina all’uomo vecchio. La panchina è nella piazza. In fondo alla piazza, dall’altra parte, l’enorme torre con l’orologio. L’orologio è a ottanta metri d’altezza.
“’Categoricamente’ è ingombrante come termine. Poi, boh! Guardi che sua moglie mi ha chiamato disperata! Lo capisce questo?! Proverò anche a seguirla, ma mi deve far capire com’è che questa donna delle pulizie ha a che fare con la salute e la salvezza del suo matrimonio. Le do un’ultima occasione!” L’enorme torre con l’orologio è colma di impalcature. Uomini lavorano forsennatamente, sta per partire l’operazione. Una struttura circolare ingombra l’enorme sclera bianca con le lancette nere, gigantesche, lunghe come autobus.
“Allora, le rispiego! La donna delle pulizie si chiama Mulda: borsone nero, secchiello, scopa, struscione, trentasei anni, capelli biondi, un metro e settantasei, settantasette al massimo. Sale sul mio autobus alle sette e quarantasei, ultima corsa. Io arrivo, come le dico, alle sette e quarantasei nette. Nessuno arriva puntuale. Io arrivo proprio al secondo preciso! La donna si siede in fondo. Posti di sinistra, al finestrino. Fuori c’è buio. Fa buio alle sette e dodici questa settimana. Ecco la fermata Salisbari uno, due, tre, tutto il viale alberato, i cipressi, sì, i cipressi. Arrivo fino ai sessantadue chilometri orari, normalmente al centosettantesimo cipresso. Rallento, svolto, sinistra, cinquecento metri, sette fermate, ecco piazza Volontà del Fante. Bambino che tira la picconata sull’incudine, alta due metri e tre, sì. Svolto: viale Munder. I porticati, le colonne, lunghissimi porticati, cinquecento ottantadue metri, otto fermate, tocco i cinquanta, sì. Ecco, eccola! Lei scende alla fermata Munder nove, all’incrocio con via Signoria Fugen. Proseguirà nelle vie illuminate, coi negozi, fino a un condominio extra-lusso. In tutto la donna delle pulizie sta sul mio autobus la bellezza di sedici minuti e quarantadue secondi, cronometrata! Ora, tutto questo per dire che: esce dalla villa dei signori Gunvala alle sette e quaranta, corre per il viottolo della villa, arriva alla fermata. Prima non può uscire dalla villa, abbiamo parlato qualche volta, qualche volta si siede davanti, non in fondo… Comunque! Deve entrare alla villa dei signori Subia venti minuti precisi dopo. La mia è l’ultima corsa prima che partano i notturni, ovvero un’ora dopo, quindi: o prende la mia ultima corsa o va a piedi. Il tragitto le costerebbe un’ora di cammino. E io voglio arrivare in anticipo quindici minuti prima del mio orario di adesso. Quindi voglio arrivare nove minuti prima di quando lei possa uscire da casa dei signori Gunvala. Non le dico i secondi precisi, se le mette proprio ansia.” L’enorme orologio non osa muoversi, l’occhio bianco con le lancette, sta fermo. Hanno fermato le lancette il giorno prima. Ora segnerebbe le sei e dieci. Ventose enormi, stanno per attaccarsi all’enorme orologio sulla torre.
“Le piace qui?” Le ventose iniziano ad avvicinarsi. Gli operai corrono sulle impalcature.
“Sì. Certo. Una bella panchina. Dei begli alberi. Questa piazza è sempre bella e la torre laggiù… Ecco, lei per caso sa come si chiama questa torre? Al di là del nome che gli hanno dato? Chissà quanto è alto il Ciclope.” Le ventose si attaccano. Aderiscono perfettamente all’enorme orologio sulla torre.
“Il nome è Torre Salisbari, ma Ciclope è più carino. Salisbari, un centinaio di anni fa, l’ha ricostruita completamente questa nazione, questa enorme torre è stata una delle ultime sue opere e il nome glielo hanno dato da morto. L’orologio è originale, un gioiello, enorme! Sì, questa torre è un simbolo della città e chi non la ama è un ignorante! Però, ecco, non mi aspettavo le impalcature intorno all’orologio e vedere il Ciclope così imbalsamato mi fa avvertire una certa apprensione… Senta, io, in anni di onorato servizio al tribunale di stato, sono stato un giudice comprensivo, lei lo sa bene. Ne ho scartabellati di casi… di stranezze… e ho sempre mantenuto il sangue freddo di fronte a questa aspra storia umana che non riserba a noi, e alla lucidità di pochi di noi, un minimo di pietà. E però, queste mi paiono tutte delle sonore cazzate! Mi scusi. Quasi non so se andarmene o rimanere. Sono allibito! Lei verrà lasciato da sua moglie se non ritorna a casa un po’ rinsavito dopo questa mia conversazione con me, io sono la sua ultima spiaggia e lei vaneggia completamente!” Le ventose producono un sottovuoto violento.
“Ma è lei, lei, che mi ha insegnato che per fare il magistrato bisogna avere tutte le prove sottomano.” Le ventose dovrebbero essere attaccate, commentano in sala di controllo. Dovrebbero? Aggiunge qualcuno. Sembra che ci sia qualcosa di poco chiaro. Ma devono ancora fare il test per capire lo stato di ancoraggio delle ventose.
“Non mi citi, decontestualizzandomi! Lei è un autista, mannaggia a lei! E sua moglie mi ha chiamato in lacrime chiedendomi di vederla, mannaggia a lei due volte, e lei si mette a fare discorsi deliranti. Era più centrato quando…”
“Lei non mi stima, lo so, la capisco, ma la prego, mi ascolti fino in fondo. Il mio piano è fattibile! E lei me lo dirà che è fattibile e mi stimerà! Ne sono sicuro.” Pare che le ventose siano tutte in funzione.
“Io dico che è un autista e dovrebbe portare persone. Seduto su questa panchina, di fronte al Ciclope che è in ristrutturazione… Diamine, mi prende veramente l’angoscia, stanno proprio staccando l’orologio, guardi!” Nell’ora precedente all’ancoraggio delle ventose avevano proceduto con il disgiungimento dei ganci e dei bulloni. Avevano calcolato che l’orologio non si sarebbe mosso se non con l’enorme forza esercitata dalle ventose, incastrato nel buco della torre. Ora le ventose, superato il test, danno il via all’esportazione dell’orologio.
“Diceva?” L’orologio si muove di qualche millimetro.
“Dicevo… A sentirla parlare sono preoccupato… Le tratte! Il medico! I teppisti! La guida sportiva per risparmiare tempo! Come imboccare rotonde, incroci, i gradi, le traiettorie, il libro di corse che si studia la notte! La donna delle pulizie! Il problema della donna delle pulizie! E in fine, il teatro dell’opera e gli orchestrali! Ma che discorsi fa?! Io la pianto qui! Lei guida un autobus, si calmi!” L’orologio si sposta ancora.
“Io per salvare la mia vita, devo riuscire ad arrivare…” Si sposta ancora.
“Un quarto d’ora d’anticipo a tutte le fermate della sua ultima corsa… Una follia che se la scoprono perde il posto e magari ritorna in tribunale…” L’orologio inizia a essere sorretto solo dalle ventose.
“Non perdo il posto se capiscono il piano! La prego, sono felice di potermi confidare con lei, lei mi salvò la vita vent’anni fa! Lei capì che io non meritavo la galera per quell’idiozia! Lei potrà dirmi se è sensato quello che penso! Io lo so che sarà dalla mia parte! Ne ho bisogno.” L’orologio si ferma. A occhio nudo sembra ancora attaccato alla parete dell’enorme torre. Dubbi enormi: gli ingegneri sotto la gru, nella sala di controllo, parlano di rimettere l’orologio in posizione. Subito! Il capo ingegnere sgrana gli occhi arrivato allo schermo.
“Rimango ad ascoltarla. Anche perché voglio vedere accertarmi che il Ciclope se ne esca bene… Ricominci… Però, non mi torna subito una cosa! Ci saranno altri pendolari in tutte le fermate delle ultime ore che necessiteranno dell’autobus esattamente quindici minuti dopo la sua personalissima e agognata, nuova programmazione, o no?” Il capo ingegnere chiama istantaneamente il consiglio di amministrazione dell’azienda: procediamo o no?!
“No! Solo i pendolari abituali davvero necessitano dell’autobus! Nessuno di quelli non abituali farebbe un esposto sull’anticipo… Solo la donna delle pulizie subirebbe uno stravolgimento tale da voler chiamare la direzione. Gli altri sono elementi casuali! Le cose casuali non sono razionali e non vanno prese in considerazione. Lei mi ha insegnato che la razionalità è fondamentale, è stato il suo discorso al mio matrimonio! Era la persona più importante lì. Poi c’erano solo poveracci come me e mia moglie…” La discussione finisce. Il capo ingegnere ritorna: si deve procedere. Danni economici enormi se non lo si fa oggi. Se la gestiranno loro, sapranno quel che si dovrà fare.
“Io avevo fatto un discorso sull’essere razionali con il prossimo e con sé stessi, sostituendo la parola razionalità alla parola onestà. Era un rimaneggiamento di un testo di un filosofo che amavo molto.”
“Quindi non l’ho capito?” Tutto di nuovo in moto. Riattivano il processo, dita schiacciano tasti sulle tastiere, sugli schermi i grafici riprendono: energia, numeri, dati, forza pneumatica, l’orologio torna a spostarsi. Il movimento prende velocità. L’orologio esce dalla cavità a ottanta metri d’altezza. Tutti nella piazza tacciono, tranne quei due uomini sulla panchina, laggiù, là in fondo.
“No, non dico quello, forse ha travisato sicuramente però. Sì, direi che non l’ha capito di certo.”
“Quindi sono stupido?”
“Non ho detto questo. Credo che sia una fase in cui non è molto lucido.”
“Se sono stupido, io non ce la posso fare. Solo i migliori vanno avanti.” L’orologio, enorme, l’occhio della torre, è definitivamente fuori dalla sua cavità. Il lento accecamento si è completato.
“Senta, io ho i nervi a fior di pelle a vedere questa scena e allo stesso tempo sono attratto da questa opera di ingegneria… Mi tocca però concentrarmi su di lei e ricordarle che sua moglie piangeva al telefono, che lei mi ha detto che suo marito, che lei non dorme da quattro giorni cercando di capire come fare a cambiare gli orari lavorativi di questa benedetta signora delle pulizie perché possa prendere l’autobus all’ora che lei più desidera. Ma ci rendiamo conto che… Mi scusi, sua moglie si è preoccupata quando l’ha vista cercare sull’elenco telefonico, due giorni fa, il nome di una di quelle famiglie presso le quali quella signora lavora. Proprio i Subia! Una cosa fuori dal normale, lei voleva chiedere ai Subia di non far lavorare quella signora… Ma… Non lo so… Ecco, mi pare che l’orologio sia staccato ora! Guardi, noto solo ora che là hanno anche transennato la strada… Per fortuna non sono passato da quel versante della piazza con la macchina… Staccano l’intera struttura! Che meraviglia però la tecnologia! Chissà perché lo restaurano.”
“Da quando ho rifatto le serali, e grazie a lei che le ho fatte, io cerco di avere un approccio matematico a tutto. Calcolo tutto e parto dalle basi. Partiamo dall’inizio! Il primo dato è il seguente: devo per forza partire in orario! Sette e un quarto: stazione degli autobus. Imbocco viale maternità, svolto, via Sorg, viale Maternità est, passata la redazione del giornale Ordine Nazionale, siamo già in un bel quartiere. Viale Kulter: villini, villette, ville enormi, cancelli di ferro neri, alti. Li ho contati, duecento undici. Il duecentotreesimo è di un ragazzo: longilineo, scarpe eleganti, pantaloni bianchi, felpa. Cambiano i colori ogni volta, ma è sempre vestito così. Fermata Kulter dodici delle sette e trentasette, è l’undicesima fermata della via. Valigetta, occhiali a tartaruga. Non osa scambiare una parola. Lui è fondamentale che abbia l’autobus all’ora giusta: adora prendere l’ultima corsa possibile per arrivare a scuola appena suona la campanella. Il traffico non lo becco mai, significa che io non lo devo beccare. Tutti arrivano in ritardo per colpa loro, sono tutti degli scansafatiche e puntualmente qualcosa accade ai loro autobus. Nessuno in orario, solo io! Spacco il secondo! Affidabilità! Competenza! Questo vogliono! Io lo do! Non mi capita nulla, perché sono competente! Lo studente arriva alle otto e cinquantasei a scuola, sono quindici scalini per il portone. Ingresso enorme, porte gigantesche in legno di noce… Mia figlia in una scuola così non potrebbe mai andarci. Tre lingue sai quando esci di lì, di base! Se passo prima, lui non prende l’autobus. Non posso partire con quindici minuti d’anticipo.” Ingegneri corrono. Imprecazioni. Qualcuno urla. Chiamano pompieri, polizia, ambulanze, preventivamente, per il disastro. Gli ingegneri urlano al campo ingegnere improperi. Il capo ingegnere suda. Gli schermi lampeggiano all’armi. Le ventose, le ventose!
“Non so se l’ha notato ma là c’è un certo movimento. Hanno staccato l’orologio ma mi pare che una parte delle ventose non abbia aderito bene! Oh no, no! No! No! L’occhio! L’orologio sembra scivolare! Se non la seguo, una ragione c’è, mi scusi! Spero di aver visto male! Che l’orologio non caschi! Che non si azzardino a fare un sopruso simile alla città!” Due operai provano l’impossibile. Riattivare in qualche modo le ventose malfunzionanti manualmente. Ma come?! Ma poi: com’è possibile una cosa del genere!
“Che ne pensa? Ha qualche soluzione? Pensa che sia io stupido a non averne trovate, per partire prima? L’autobus successivo arriva quindici minuti dopo il mio. Lui arriverebbe in ritardo a scuola prendendo l’autobus quindici minuti dopo e farebbe denuncia. Lui verrebbe ascoltato! Sa, ad aver rischiato il carcere, so quanto è difficile essere ascoltati. Sei marchiato a fuoco. Solo perché la fedina penale… Ma quello, lui, lui no, lui è di buona famiglia! Diventerà ingegnere.” Nella sala controllo cercano soluzione per rimettere l’orologio nella cavità. Ambulanze, polizia, e pompieri dovevano essere già lì, non ci sono perché?! Niente funziona, si sa. Eh, però, boh! L’amministrazione?! E il sindaco?! E ora?! L’orologio è ancora attaccato alle ventose, il settanta per cento funziona, ma scivola verso una parte. La torre risulta strabica.
“Nessuna soluzione al suo problema, non può partire prima. Deve mangiucchiarsi, utilizziamo questa parola, qua e là tempo, prendendo le rotonde alla massima velocità, sperando nel traffico giusto, che lei ha sempre giusto, per anticipare di quindici minuti l’ultima corsa. Così il suo matrimonio sarà salvo. Oh, Ciclope, non fare scherzi! Guardi là che roba!” In sala di controllo le mani si mettono sul volto, anche se la situazione pare statica. Le ventose reggono.
“Lei fa del sarcasmo?”
“Sul fatto che il suo matrimonio sarà salvo se lei anticipa di quindici minuti l’ultima corsa?! Faccio del sarcasmo sul fatto che la sua vita sia legata a un gruppo di orchestrali del teatro dell’opera?!… Quando fece il palo in quella rapina a diciotto anni, la capii molto di più. Lì era una situazione tremenda, suo padre un ubriacone, lei era un bravo ragazzo che aveva frequentato brutti giri. Io l’ho capita… Ma ora?! Si è sistemato, è tranquillo, il contesto in cui sta è buono. Che diavolo vuole?! Lei si mise a rapinare solo perché non poté fare ingegneria. La testa ce l’avrebbe avuta, non è scemo… Sempre più operai lassù, guardi!” Gli ingegneri cercano di dare potenza alle ventose per la terza volta, globalmente, tutte insieme. Non possono riposizionare l’orologio in quella posizione sbilenca.
“Però sono a fare l’autista, non l’ingegnere! Non sarò scemo eppure… Sì, lei pensa che io sia stupido non a torto… Lei pensa che io non possa farcela! Lei non crede che io possa anticipare di quindici minuti il tutto, trovare una soluzione geniale al problema.” Che possono fare allora?! Più passa il tempo, più le ventose funzionanti rischiano di cedere. Tanto vale abbassare completamente la struttura, nella manovra più veloce fra le attuabili in quella data situazione.
“Mi dica cosa c’entrano questi benedetti quindici minuti, con l’eternità di tempo che dovrebbe passare con sua moglie e con sua figlia, che non allatta neanche più perché è talmente morto dal sonno da non riuscire neanche a reggersi in piedi quando cammina per casa.”
“Prima mi lasci dire che io questi quindici minuti li prenderei in gran parte dalla fermata viale Vudelma sette, la questione dei teppisti, come le ho accennato. Là ci sono, per l’appunto, dei teppistelli che salgono sull’autobus alle cinque e ventiquattro del pomeriggio. Dopo la pausa pranzo. Sì, solo case popolari e industrie con i lavoratori di quelle stesse industrie che vivono in quelle stesse case e quindi nessuno deve spostarsi da lì o arrivare lì con l’autobus. Gli unici che prendono l’autobus in quella fermata sono loro, i teppisti.” Via, si farà così. Abbassate quel maledetto pezzo di vetro! Sì, ma per abbassarlo, bisogna assicurarsi un minimo di stabilità in più. No, non è necessario, che si parta! Il capo ingegnere non lo dà a vedere, ma sta avendo un attacco di panico, la voce gli trema.
“Però, mi scusi, mi spieghi la seguente cosa: anche loro, anche i teppisti, sono abituali, mi pare di capire! Anche loro si lamenterebbero con la direzione dei trasporti! Cosa che lei non vuole assolutamente!”
“Sono teppisti, chi se ne frega!” I vandali saremo noi?! Urla al telefono uno del consiglio di amministrazione al capo ingegnere. Saremo noi ad aver vandalizzato la Torre di Salisbari?!
“Anche lei lo era, un teppista! Anzi! Proprio un criminale, tecnicamente!”
“Non importa cosa sono stato. Importano i quindici minuti. Quelli della direzione lo capiranno che sono teppisti, quando li sentiranno al telefono, parlano come teppisti! Come minimo per un esposto del genere dovranno presentarsi alla direzione. So come ragionano, non lo farebbero mai, troppo sbattimento, ma!, se si presentano da quelli della direzione, quelli della direzione vedranno i tatuaggi in viso, le borchie e le unghie colorate! Non li ascolteranno comunque! Io arrivo ai cinquantadue chilometri orari, svolto in un viale Zibul seicento metri prima della loro fermata, li salto a piedi pari, passando vicino all’industria Mandred, mattoni rossi, ciminiere, cisterne bianche, e riprendo la bellezza di metri numero…”
“Va bene, tutto calcolato. Perfetto. Lei si salta questa corsa, taglia, guadagna sette minuti circa mi pare di aver capito. Che diavolo fanno quegli idioti là! Ora l’orologio cade per davvero! Ma che azienda hanno chiamato per la manutenzione… Ora crolla l’intero orologio… Danni da milioni…” Sempre più ventose cedono. Gli schermi lampeggiano. Allarmi esplodono. Facce sudano. Dita sulle tastiere impazzano, scrivono codici.
“Sette minuti e trentacinque secondi. Ottengo sette minuti e trentacinque secondi! Un piano perfetto! E le dirò: hanno sbagliato quelli dell’urbanistica a mettere le pensiline nella strada sbagliata! Dando l’opportunità a gente sbagliata, che non paga il biglietto, mai!, di salire sul mio autobus. Quindi è anche una questione di giustizia.” Le ventose esercitano forza mentre spostano l’orologio.
“Lei vuole far rispettare la giustizia e rielaborare la viabilità. Non so, a metà fra un magistrato e un sindaco. Le istituzioni le fanno un baffo da quando è diventato un autista provetto. Che se ne fa lei dei tribunali e dei consigli di amministrazione delle aziende?!”
“Perché fa tanta ironia?” L’orologio si sposta, è ancora attaccato alle ventose, forse per miracolo. Lontane le sirene dei pompieri si fanno sentire. Dovevano essere qui stamattina, commenta un ingegnere.
“Perché, non vede che non c’è nessun’attinenza con il fatto che lei è un uomo assente in casa?! Non lo nota?! Non capisce che la questione principale è tornare nel letto con sua moglie invece di tenere un registro, ogni giorno, su come migliorare il suo piano?! Ora casca per davvero l’orologio! Oh Ciclope, sta calmo, non ti agitare!” L’orologio non può cascare. Non può. Gli operai tremano sulle impalcature, sudando.
“Aspetti! Senta fino in fondo, c’è un medico che-” Altre quattro ventose si spengono. L’orologio, a ottanta metri di altezza, sorride con uno sguardo di paura, sbilenco si storce ancora di più.
“No. No. Nooo, non ci credo. Non ci posso credere. Figliolo, sta’ zitto un secondo! Sta cadendo l’orologio! Sta cadendo! Il ciclope si accieca!”
“Se vuole andare via, così le parlo con più tranquillità del problema del medico…”
“No, io rimango qui con il Ciclope. Ciclope, non fare scherzi. Ciclope non ti agitare. Sta scivolando l’orologio, diamine! Parlami, parlami va. Dimmi del medico.” Danno forza alle altre ventose. Un ingegnere si mette a piangere in sala controllo.
“Si segga sulla panchina, per favore. Mi mette ansia… Allora: il medico! Ospedale della Marina Militare. Scende ancora col camice, il caffè nel bicchiere di carta, sempre sorridente. Lui è uno che parlotta sempre volentieri. Deve andare con uno scarto di otto minuti e trenta secondi, a due chilometri e cinquecentododici metri di distanza. Tutto lungo gli scogli sul mare. Deve raggiungere uno studio privato. Oftalmologo di primissimo ordine! Passa dall’ospedale più incasinato…” Riattivano due ventose, miracolo! L’ingegnere smette di piangere, quasi ride, si rimette ai comandi. Sì, sì, sì, cazzo!
“Fatiscente. Incasinato non si dice per i palazzi. Forse lo recuperano l’occhio. Forse ce la fanno, a salvare il Ciclope.”
“L’ospedale più fatiscente della città, a uno studio piccolino, porte automatiche, maniglie lucenti. Lo vedo dalla fermata mentre ci entra. Quell’oftalmologo mi ha raccontato un sacco di cose, che caciarone! Ci prova con tutte sull’autobus ma mai per davvero… Lui vorrebbe che arrivassi cinque minuti prima, gli tornerebbe meglio. Lui non beve caffè, è che ci sta provando con un’infermiera e allora se lo prende ogni giorno per avere la scusa di… Insomma, lui vorrebbe venissi prima però, alla fine non gli importa tanto dell’infermiera, lui punta alle dottoresse. Le infermiere le lascia agli infermieri… Cinque minuti quindi è perfetto, per non doverci parlare troppo, ma non quindici minuti prima perché sennò dovrebbe saltarsi tutta la conversazione… Un po’ con lei vuole giocare. Se passassi con quindici minuti di anticipo preferirebbe l’orario precedente e farebbe domanda alla direzione… E se un oftalmologo ti chiama… Che fai?! Lo ignori?! Perché l’autobus cinquecento cinquantacinque non arriva all’orario dovuto?!” Le ventose reggono. L’orologio sta. Gli ingegneri respirano.
“Quindi, fino al momento in cui non ha raccattato questo ottico sciupafemmine l’anticipo può essere di quasi cinque minuti… Una volta caricato, dalle quattro in poi, può cercare di mangiucchiarsi qua e là gli altri dieci, va bene. Sa fare i calcoli, averla spinta a fare le serali è stata una scelta azzeccata, visto?! Lei che sentiva uno che aveva perso il treno in tutto e per tutto! Invece guardi, ha anche una famiglia e una casa… Una dignità! Solo che, questa testa, non la può applicare per questa roba!” Le ventose reggono. Forse, aggiunge un ingegnere, quello più cinico. Un altro lo manda a fare in culo.
“Allora vede che mi considera all’altezza! Aspetti! Senta tutto! Non posso partire in anticipo dopo pranzo, i colleghi che mi vedrebbero sarebbero troppi, a differenza del mattino. Se arrivi in pausa pranzo in anticipo e parti, finendo la pausa, in anticipo nessuno lo nota, ma se ti mangi quindici minuti di tempo che puoi impiegare a non far niente a pranzo, eh, sì, che lo noterebbero! Gli autisti sanno che carriera non la possono fare. Ai ruoli superiori finiscono sempre i parenti e gli amici delle giunte vincenti e dei superiori impiantati lì da anni. I figli dei superiori finiscono a fare i superiori. Nessuno che guardi i tuoi meriti, ma io ce la farò! Quindi sì, posso mangiarmi cinque minuti in tutto il giorno, dopo le quattro gli altri dieci e tutti sarebbero contenti. Gli altri pendolari abituali non hanno tempi così stretti, tutto perfetto. Ma questa stramaledetta donna delle pulizie mi esce alle sette e quaranta dalla casa dei… Cioè, povera donna! Poi non ha senso far lavorare una persona a quell’ora, ma mi ha spiegato che quella famiglia ha bisogno di lei. In realtà perché la badante di loro figlio – è autistico, credo – non c’è mai in quella fascia oraria, e lei deve stare lì a vedere che non faccia stranezze tipo farsi male, fino alle nove di sera, quando tornano loro. I Subia sono dirigenti di azienda tutti e due. Io potrei anche fregarmene della donna delle pulizie. Lei è una donna delle pulizie, può fare il casino che vuole, chi l’ascolta?! Ma i Subia rimarrebbero senza donna delle pulizie e loro farebbero esposto per lei, si incazzerebbero…” Tutti monitorano. I pompieri sono arrivati. Fanno sgomberare le impalcature. Qualche operaio dice di no. Con il Ciclope ci sono cresciuto. Rimango qui. I pompieri si incazzano.
“E ancora, di nuovo: tutto questo che attinenza ha con sua moglie e sua figlia? E gli orchestrali poi… Che attinenza ha?” Gli ingegneri monitorano. Sugli schermi stanno le percentuali di forza delle ventose.
“Io proprio nella stessa corsa, l’ultima, due fermate esatte dopo aver lasciato la donna delle pulizie… Ho l’intera orchestra del teatro dell’opera, il Bunigar, pronta per entrare in autobus! È entrato un violinista una volta, tre mesi fa e abbiamo parlato. Pagherebbero tutti l’abbonamento! Tutti! Se arrivasse l’autobus quando escono. Si lamentano da anni che non c’è nessun autobus quando escono e con gli strumenti non hanno voglia di aspettarmi, lì, in piazza, meglio l’auto. Fanno una vita di stenti pure loro in fondo. Sono trenta persone in più! Sulla tratta! Capisce?!” Le percentuali non cambiano.
“No… Non capisco! Io sono fermo, ipnotizzato dall’orologio!” Le percentuali non cambiano.
“Io porto trenta persone in più! La mia tratta porterà trenta persone in più! In direzione se ne accorgono! Io dimostro loro che ho portato trenta persone in più! E capiscono che io non devo fare l’autista! Io voglio le scuole migliori per mia figlia! Io devo stupirli! Devono innamorarsi di me! Devono amare il mio operato! Così mi noteranno! Avrò uno stipendio migliore… C’è una crisi grossa, nessuno paga il biglietto! Gli orchestrali sono persone ammodo, sono persone che pagano, sono persone serie.” Le percentuali non cambiano.
“E se andassero a vedere scoprirebbero che tutti questi trenta in più, che lei dice spenderebbero quattrini per un abbonamento sulla base di un’analisi di mercato che ha come fondamento le parole di un violinista, li ha portati lei rischiando incidenti sulle rotonde.” Le percentuali non cambiano.
“No, perché sono un guidatore fenomenale, se tagli la curva in un certo modo, nessun pericolo.” Gli occhi degli ingegneri sono fissi. Forse si può pensare a spostare l’orologio così. L’operaio viene allontanato dai poliziotti e dopo essere ammanettato sulle impalcature, là, a ottanta metri: l’eccesso di zelo, anche quello è un problema.
“Rischiando di investire gente sul viale.” Le percentuali non cambiano.
“No, perché basta suonare, i passanti ti vedono, ho studiato tutta una tecnica nella mia testa, tu devi pigiare il clacson a una certa distanza che-” Ormai ci sono tutti: medici, polizia, camion dei pompieri, ingegneri. L’elicottero del telegiornale arriva ora.
“Sì, va bene e tagliando fuori un’intera strada dalla linea?! Quella dei teppisti?!”
“Sì.” Tutti osservano la scena. Anche gli uomini sulla panchina, senza guardarsi, guardano l’orologio. Le percentuali non cambiano.
“E tutto questo per farsi notare dalla direzione, convincerli che lei è valido e passare dall’essere un autista a un direttore di linea e poi da lì a chissà cosa.” Le percentuali non cambiano.
“Posso fare carriera.” Ma potrebbe esserci un problema, dice l’ingegnere più cinico. Un cambiamento impercettibile, una minima percentuale, forse una ventosa. Non è niente, si dicono tutti.
“E sua figlia avrà un futuro diverso.” Potrebbero spegnersi di colpo tutte quante, dato il problema, commenta il più cinico. Sudano tutti, anche lui.
“E mia moglie mi amerà di nuovo.” Potrebbe spegnersi tutto, ammette il capo ingegnere. Silenzio. Le percentuali ancora non cambiano.
“Ammesso e non concesso che risolva davvero la questione della donna delle pulizie. Che guadagno portano trenta abbonamenti in più al mese? Basterà per convincerli? Sarà sicuro che questo dia loro una buona motivazione per farla dirigente o cosa? Ha davvero calcolato tutto?”
L’uomo giovane rimane seduto, mentre quello vecchio, dalla panchina, si alza in piedi. L’uomo vecchio urla. Molti nella piazza urlano. Altri tacciono. Altri cadono a terra. Altri piangono. Il giornalista sull’elicottero rimane attonito, la telecamera ha inquadrato la scena. Sorride. Cazzo, siamo arrivati proprio in tempo, dice a voce alta, mascherato dal rumore delle pale dell’elicottero.
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Qui sotto il Time Lapse creato da Anja Aurora Mazza