Il ritratto della settimana è dedicato a Daniel Defoe (1660-1731)
Il padre del romanzo inglese è noto soprattutto per le avventure di Robinson Crusoe, ma in realtà è stato molto di più.
Nacque in una famiglia puritana appena benestante; suo padre, James Foe, era un macellaio ma vendeva candele. La qual cosa forse faceva storcere il naso al nostro che doveva avere ambizioni aristocratiche, perché, appena poté, cambiò il nome da Foe al più ricercato Defoe. E dato che aristocrazia e quattrini vanno sempre d’accordo, invece degli studi ecclesiastici (come voleva il padre), si dedicò a quelli economici dato che voleva fare l’imprenditore. Insomma un self made man di primissima mano.
Bisogna ricordare che l’Inghilterra della seconda metà del 1600 stava attraversando un periodo di grandi cambiamenti sociali ed economici. La riforma luterana aveva da poco tagliato il cordone ombelicale (e della borsa) con la Sacra chiesa di Roma, si andava affermando una nuova classe sociale dirigenziale in sostituzione dei signori feudali: la borghesia, con mentalità più aperta al commercio e agli scambi culturali che avvenivano nei caffè o tramite la diffusione dei primi giornali. E uno come Defoe non poteva essere sordo a tali richiami. I fatti gli diedero ragione perché gli studi gli aprirono diverse porte e lui finì con lo sposare una donna molto ricca ottenendo una bella dote e sette figli.
Diciamolo: la dote se l’è guadagnata tutta.
Si impegnò molto anche in politica sostenendo il protestante Carlo II, fratello del legittimo erede al trono il quale era pure cattolico. Chissà che bei Natali in famiglia. Non pago cercò di diventare portavoce dei whigs, partito liberale con mentalità favorevole alla libertà di culto e che favoriva mercanti e industriali. Ma fra la politica, la vita fastosa, qualche amante e un figlio illegittimo, nel 1692 finì in bancarotta.
Lungi dal darsi per vinto e con una sconfinata fiducia in se stesso e nelle sue competenze, riuscì a risollevarsi offrendo i suoi servigi in qualità di consulente. Pare che persino il sovrano si rivolgesse a lui. Scrisse vari saggi di natura politica ed economica piuttosto all’avanguardia, tra cui nuove leggi sulla bancarotta. Dato che non aveva gran considerazione della chiesa cattolica, venne nuovamente arrestato nel 1702 con l’accusa di averla diffamata per via di un libello dal titolo: La via più breve per i dissenzienti.
Il libro fu messo al rogo e Defoe venne costretto alla gogna, punizione che più di ogni altra temeva. Per esorcizzarla scrisse un’ode: Inno alla gogna, grondante sarcasmo e rivolta, ovviamente, ai potenti che godevano nell’umiliare il popolo o chiunque osasse esercitare la libertà di pensiero. Ebbene, lo scritto ebbe così successo che mentre veniva portato in giro ed esibito al pubblico ludibrio, accadde una cosa assai singolare: la gente anziché lanciare frutta marcia e invettive, tirava fiori e alzava boccali di birra in onore del condannato.
Questo, però, non gli risparmiò la galera. La moglie, invece, prese la palla al balzo e chiese il divorzio.
Poco male, tra lei e i sette marmocchi probabilmente Defoe avrà goduto di più pace in una cella che non a casa. Ed è proprio nella prigione di Newgate che scrisse il romanzo Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders. Le vicende della protagonista sono un guazzabuglio tale che farebbero impallidire gli sceneggiatori di Sentieri. Il romanzo verrà pubblicato solo nel 1722.
Il nostro venne scarcerato nel 1704, curiosamente grazie a un tory moderato, tale Robert Harley, il quale gli fornì anche il capitale di partenza per fondare il giornale The Review, quasi interamente scritto da Defoe, il quale esordì il 26 febbraio 1704. La rivista conteneva anche discussioni di morale, costume e politica. Il giornale durò 10 anni ed è tuttora considerato il caposaldo del giornalismo inglese. Comunque sia, appena uscito di galera, Defoe si recò in Scozia ed entrò nella redazione di un settimanale giacobita sotto mentite spoglie e al soldo del governo inglese. Tipo spia, insomma. Lo scopo era influenzare il parlamento scozzese. Il novello 007 venne scoperto dopo una manciata di anni, costretto alla fuga e a lasciare il giornalismo.
L’esordio da romanziere avvenne in tarda età. Va detto che l’ideale di Defoe non era tanto quello di scrivere romanzi d’avventura, quanto di pagarsi i debiti che continuava ad accumulare manco mangiasse da Cracco tutti i giorni. Per questo, occorreva farli passare per saggi, magari biografie o, comunque, storie basate su fatti realmente accaduti perché così erano più appetibili al pubblico. E dato che di avventure ne aveva vissute lui stesso, materia cui attingere non gli mancava. A 55 anni pubblicò The family Instructor e tre anni dopo il romanzo che lo consacrerà alla storia: Robinson Crusoe.
Alzi la mano chi non conosce la storia del giovane marinaio inglese che naufraga su un’isola deserta e vi resta per ventotto anni dando prova di grandi capacità di adattamento. La vicenda, raccontata in prima persona, ha vari antefatti. Il marinaio vive diverse avventure prima di arrivare all’isola deserta. Scritto in forma epistolare, il libro apparve come la biografia del protagonista, tanto che all’inizio si pensò a un fatto realmente accaduto. In realtà l’autore si era ispirato alla vera storia di un certo Alexander Selkirk che aveva passato quasi cinque anni su un’isola deserta.
Defoe era riuscito a miscelare abilmente accadimenti reali e verosimili con una sana dose di finzione e a lanciare il messaggio che più gli stava a cuore: ovvero che gli ideali di imprenditorialità, dinamicità e fiducia nei propri mezzi, uniti alla provvidenza divina, non possono che creare benessere economico e il lavoro è il mezzo con cui l’uomo crea la sua fortuna.
Robinson Crusoe, in tal senso, è il prototipo del nuovo, laborioso, uomo borghese. Grazie ad alcuni attrezzi recuperati dalla nave naufragata, riesce a costruirsi un’abitazione, a tenere un diario, si fabbrica un calendario e inizia a coltivare l’orzo, allevare delle capre e addomesticare un pappagallo. E la sera? Si legge la Bibbia, unico libro sopravvissuto che lo porterà a confidare nella divina Provvidenza, fondamentale per piegare la natura alle sue necessità. Grazie a tutto ciò riesce a sopravvivere in solitudine prima di accorgersi che sull’isola ci sono altre persone, tra cui Venerdì, un ragazzo che salva dai… cannibali. Insomma, dalla padella alla brace. Dato che il nostro eroe rappresenta quanto di buono c’è nell’uomo moderno, il finale positivo è assicurato.
Il romanzo ebbe un enorme successo e Defoe ne uscì ricco e famoso; si costruì una casa a Stoke Newington e contrattò un buon matrimonio con tanto di dote, per la figlia.
Una volta capito cosa voleva il suo pubblico, non esitò a pubblicare altri romanzi più o meno con lo stesso stile: Lady Roxana, finta biografia di una ex cortigiana, Diario dell’anno della peste, ovvero (finte) memorie di un personaggio che ci racconta la peste di Londra del 1665 e Memorie di un cavaliere, che scritto in prima persona, rappresenta il primo esempio di romanzo storico, cui – pare – si sia ispirato anche Alessandro Manzoni. Per dire…
Le cronache del tempo criticarono il suo accanito mercantilismo e, nonostante la fama, le condizioni economiche rimasero sempre precarie. Temendo di finire nuovamente in prigione per debiti, fuggì a Londra dove morì, poco dopo in una casa che aveva preso in affitto.