Il ritratto della settimana è dedicato a Guido Morselli (1912 – 1973)
Intellettuale solitario, filosofo anticonformista e scrittore refrattario a ogni dogma. Ha dedicato la sua intera vita a indagare sul senso dell’esistenza e del perché della sofferenza, in particolare la sua.
Sono diventato un filosofo, comprendo gli uomini e la sorte degli uomini. Sa qual è la mia dottrina? Ci sono infinite cause, tutto è necessario, e niente ha uno scopo.
Difficile che qualcuno lo conosca, non ebbe vita facile e per molti scrittori, le sue vicende potrebbero rappresentare l’incubo peggiore. Venne scoperto, rivalutato e degnamente omaggiato, un anno dopo la morte, quando gli pubblicarono il primo romanzo.
Ma andiamo con ordine.
Nacque a Bologna, secondogenito di una famiglia agiata e colta. Suo padre, Giovanni Morselli, era direttore della Carlo Erba, la famosa farmaceutica, e sua madre era figlia di un noto avvocato. Insomma, in casa il frusciate girava che era un piacere. Il che non è sinonimo di felicità. Nel 1922, il nostro, perse la madre – a cui era legatissimo – a causa delle conseguenze dell’influenza spagnola. La donna era il vero collante della famiglia dato che il padre era spesso assente. E con la sua scomparsa, i rapporti tra Morselli e il genitore continuarono a deteriorarsi sempre di più. Aggiungiamoci che il nostro era poco socievole, odiava la scuola e le regole che gli venivano imposte.
Superò malamente (per il rotto della cuffia) l’esame di maturità che sostenne da privatista, poi, per fare un favore al padre, si iscrisse a giurisprudenza, e figuratevi la gioia. Però la laurea la prese.
Durante gli anni universitari iniziò a sorgere in lui la passione dello scrivere, che così mal si conciliava con i desideri paterni. Non dovette storcere troppo il naso quando partì per il militare soggiornando all’estero, la scusa era buona per stare alla larga dalla ditta di famiglia di cui non voleva assolutamente prendere le redini. In Germania iniziò a scrivere reportage giornalistici e altri racconti, tutti rimasti inediti, da lì si spostò in Calabria, da cui ritornò approfittando di un passaggio a bordo di un camion che trasportava cocci. A casa lo accolsero a braccia aperte, però era ora di trovarsi un lavoro. Ma il nostro era allergico a scartoffie, conti e registri. Il padre provò a procurargli qualche impiego, ma finì in tragedia e alla fine se lo levò di torno con un vitalizio e una proprietà, quella di Gavirate dove si fece costruire una casetta dall’intonaco rosa che sarebbe diventata il suo rifugio, un eremo con poche comodità e niente lussi: frigorifero sì, televisore no! Qui, condusse una vita spartana e agreste. Va detto che era un tipo orgoglioso e rifiutò sempre aiuti e raccomandazioni. Di tanto in tanto andava in pellegrinaggio a Milano a consegnare personalmente i suoi lavori agli editori.
Nel 1938 la morte dell’amatissima sorella maggiore lo segnò profondamente, e lui si rifugia nella lettura, lo studio e la scrittura, unica cosa che riusciva a dar sollievo alla sua anima.
Il vero colto non è chi sa ma chi non smette mai di apprendere.
La fame di conoscenza, la cultura come necessità di alimentare lo spirito, la curiosità di capire la condizione umana governata dal caso e da cui scaturisce la riflessione sul dolore, sono le sue priorità e Guido Morselli cerca risposte nella filosofia, nella religione e pure nella letteratura. Inizia a scrivere, racconti, saggi e a tenere un diario.
La sua prima opera narrativa è Uomini e Amori, ambientato negli anni ’40 prima in Lombardia e poi in Calabria. La storia narra di due amici della buona borghesia che tra feste e cene si godono la vita e soprattutto l’amore delle rispettive donne. I due personaggi sono Saverio e Vito, tanto serio e rigoroso il primo, quanto brioso il secondo. Poi sopraggiunge la malattia, il dramma e la guerra che li porterà ad affrontare una realtà assai diversa. Due personaggi opposti eppure simili, chi di loro è Guido Morselli?
Il romanzo venne rifiutato dagli editori ma lui non si diede per vinto e tra il 1947-48 scrisse Incontro col comunista, la cui voce narrante è quella di una donna, giornalista matura e colta che si innamora di Walter, un comunista piuttosto rozzo ma dalle idee chiare. Anche questo romanzo venne rifiutato ma Italo Calvino ebbe la bontà di rispondere e circostanziare il rifiuto (ah, le sane abitudini di un tempo…) e lo fece con tale classe che Morselli lo invitò a prendere un caffè.
Pazienza, si sarà detto lui. Ci riprovò con Un dramma borghese, romanzo psicologico in cui riprende il dolore della perdita. Protagonista è Mimmina, una ragazzina orfana di madre che ritrova il padre del quale, però diventa ossessionata in maniera alquanto ambigua. Mimmina è un personaggio tragico e moderno, brama amore, attenzioni, carezze, ma dalla persona sbagliata. Morselli indaga sulla psiche, sui desideri morbosi, sulle allusioni, gli sguardi, gli sfioramenti, di entrambi i protagonisti.
Anche questo lavoro non piacque. Forse è il genere letterario che non funziona, avrà pensato, il nostro. E così si rimise al lavoro con altri due romanzi ucronici, (da non confondere con la fantapolitica) che sarebbe un genere, sviluppatosi soprattutto nel contesto anglosassone, precursore della fiction.Il primo titolo era Contro-Passato prossimo con cui Morselli immaginava un esito diverso della Grande Guerra; travalicando i confini del romanzo storico, inserisce personaggi veri accanto ad altri fittizi e fatti verosimili (ma falsi) al contesto storico. Ecco la storia: È il 23 ottobre 1916, gli Imperi Centrali hanno vinto la guerra in tempi brevi e con pochi morti. L’Austria ha avuto la meglio sull’Italia, con la quale firma un armistizio e la Germania ha sconfitto Francia e Inghilterra. Le conseguenze? Di lì a poco nascerà un nuovo soggetto politico europeo di stampo socialista generato dalla fusione di Germania, Francia, Belgio e Italia. E forse non ci sarebbe stata la II Guerra Mondiale. E nemmeno la Nato.
Il secondo romanzo di questo genere fu Roma senza Papa, e qui, bisogna dire che Morselli si è sbizzarrito senza pensare che è andato molto vicino alla realtà, o comunque a una realtà molto prossima. Ambientato nel 2000 la voce narrante è don Walter, nome che ricorre spesso tra i personaggi di Morselli. La Chiesa si sta riconvertendo a una fede basata sulla psicologia, di fatto il Vaticano è diventato un museo, il Papa si è ritirato in una villetta a Zagarolo (passi la villetta, ma perché, proprio Zagarolo?) ed è fidanzato con una donna molto colta e di origini indiane. I preti hanno la possibilità di sposarsi e si parla di pillola anticoncezionale. E la città? Eh, senza Papa va alla malora.
Questo romanzo è stato il primo a venir finalmente pubblicato. Postumo. Vide la stampa nel 1974, un anno dopo il suicidio dell’autore e diventò immediatamente un caso letterario. Giulio Nascimbeni dal Corriere della Sera scrisse:
La prima tentazione è di dire che c’è stato anche un Gattopardo del Nord. (…) Scrisse migliaia di pagine. Sperò a lungo che gli editori si accorgessero di lui. È morto il 31 luglio dell’anno scorso. Adesso esce un suo romanzo, Roma senza papa e se ne resta attoniti, come davanti a un frutto raro e inimmaginabile
Ma il capolavoro di Morselli fu Dissipatio H.G. (HG sta per humanis generis), ovvero la dissipazione del genere umano. In un futuro apocalittico, il protagonista della storia, ha abbandonato la città super industrializzata di Crisopoli (Zurigo o Milano? A voi la scelta) per andare in montagna a suicidarsi. Scopre però di essere l’unico sopravvissuto all’evaporizzazione dell’umanità. Sul suo cammino ci sono macchine che girano a vuoto, hotel, negozi e strade deserte e animali che girano indisturbati (tipo i cinghiali a Roma). E ora? Chi rimane a testimoniare questa esperienza? Un romanzo distopico e visionario pieno di frasi sibilline come questa:
“O genti, volevate lottare contro l’inquinamento? Semplice: bastava eliminare la razza inquinante.”
Sempre più triste e disperato, a causa delle sue condizioni economiche (curava l’orto che gli dava da mangiare e faceva da sé molti lavori domestici e non ) e soprattutto per via dei rifiuti degli editori, Morselli decise di togliersi la vita sparandosi con la sua Browning 7.65, che aveva più volte definito, nei suoi diari, come la ragazza dall’occhio nero. E divenne famoso.