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Lee Cronin, al suo secondo lungometraggio, sa bene di star giocando con il fuoco e preferisce instaurare un equilibrio tra spensierato tradimento e fedele rievocazione del franchise nato dalla mente di Sam Raimi

Non sarebbe stato difficile cadere in facili manierismi, in rivisitazione filologiche, in reinvenzioni scavezzacollo pur di non tradire l’aura mitologica che si è ormai da tempo consolidata intorno al franchise cult La Casa, il cui film omonimo è stato diretto per la prima volta nel lontano 1981 da quel genio sregolato che era e rimane Sam Raimi. A quel film, disprezzato alla sua uscita e rivalutato nel corso degli anni in primis dai cinefili più accaniti, ne seguirono altri due: La Casa 2 (1987) e L’Armata delle Tenebre (1992), tutti e tre con protagonista Bruce Campbell che da allora è presenza fissa in quasi tutta la filmografia del regista statunitense. E non fu tanto la storia ad imporsi nella memoria collettiva – cinque ragazzi vanno a trascorrere un weekend in una baita sperduta nel bosco, risvegliano una terrificante presenza maligna che si impossessa di loro trasformando il tutto in una festa splatter – quanto il linguaggio che la MDP di Raimi consacrò al genere horror: le false soggettive, le inquadrature che si inclinano nelle scene di suspense, la fotografia cupa, i carrelli improvvisi, etc.

Per questo, come dicevo all’inizio, sarebbe stato facile per Lee Cronin cercare di imitare lo stile inarrivabile di Raimi dovendo occuparsi di questo nuovo sequel/reboot di una saga che sembrava ormai affossata dopo il remake del 2013 diretto dal terribile Fede Alvarez. Ed in effetti La Casa – Il risveglio del male non sarebbe dovuto uscire nemmeno in sala, ma finire direttamente su HBO Max se non fosse che i test screening molto positivi hanno indotto le due case di produzione (Warner e New Line Cinema) a passarlo anche nei cinema.

E che Cronin, al suo secondo lungometraggio dopo Hole – L’Abisso (2019), non voglia scimmiottare Raimi è chiaro fin dalle prime sequenze: una soggettiva si apre sui titoli di testa, come nei primi film, e sebbene si possa credere si tratti del punto di vista del demone in realtà si scopre poi trattarsi della videocamera di un drone comandato a distanza. Il programma di Cronin è già tutto qui: mettere a sistema le lezioni del maestro senza però seguirne alla lettera i dettami.

Cosa c’è di nuovo dunque in questo ennesimo film de La Casa? Innanzi tutto non siamo più in una baita in mezzo ad un bosco, ma in un contesto metropolitano. Non è più Ash (Bruce Campbell) il protagonista, bensì un’allegra famigliola che vive insieme in un palazzo di prossima demolizione. La madre (Alyssa Sutherland) è tatuatrice ed ha tre figli, la sorella (Lily Sullivan), da lei in visita, è una tecnica della chitarra appena rimasta incinta. Ma la citazione è dietro l’angolo, la rievocazione da dare in pasto al fan service in agguato: ed ecco che uno dei figli trova, nei sotterranei del palazzo, il caro vecchio Necronomicon, il libro maledetto rivestito di pelle umana essiccata che abbiamo imparato ad amare nei primi film di Raimi, e risveglia prontamente l’entità malvagia che si impossessa della madre trasformandola in una indemoniata assetata di sangue.

E poi Cronin innova ancora, svia dal prototipo per poi tornare sui binari del cinefilo appassionato – e si faccia attenzione alle citazioni da L’Esorcista, Halloween e Shining -se non fosse che dopo qualche sequenza tradisca di nuovo il copione fino ad arrivare negli ultimi 20 minuti del film a concepire un vero e proprio carnaio, un macello di corpi e liquami, un putridume gore che lascia intendere quanto ancora si possa trarre dall’universo inventato da Sam Raimi.

E un po’ si prende sul serio e un po’ parodia, a tratti sembra voler veramente vestire i panni dell’horror che spaventa a suon di jumpscare, giocando con i fan e i neofiti, se non fosse che in molti momenti l’ironia – che, da buon scolaro, non poteva non recuperare – finisca sempre per trasformare ciò che si vede in un delirio mattoide che aspira al grand guignol in perfetto stile Sam Raimi. Inoltre, il fatto di aver scritto la sceneggiatura consente a Cronin di avere un controllo totale sulla storia, decidendo in prima persona dove andare a parare o in che punto cambiare registro.

Non c’è nulla di grande in questo film – nemmeno la fotografia perennemente cupa a causa del budget ridottissimo – che rimane volutamente al suo posto, ma quanta ricchezza, quanta inventiva, quale sregolatezza nelle scelte diegetiche e linguistiche! Vedere La Casa – Il risveglio del male è importante per chi ami veramente il cinema, per comprendere come ci siano ancora galassie inesplorate, film nati da menti nutrite a pane e cinefilia capaci di creare oggetti che eccedano le norme, che rompano le regole in un momento storico in cui la maggior parte dei film subisce gravi censure o direttive stringenti.

Mi trovo concorde con i critici di FilmTv quando asseriscono che film come M3GAN di Gerard Johnston o Cocainorso di Elizabeth Banks – e si può a buon diritto includere anche il film di Cronin – non siano assolutamente capolavori, ma cinema necessario perché nato esclusivamente per l’edonismo incallito dello spettatore appassionato.

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Jacopo Marconi

Collaboratore Massa Carrara News

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