The Flash, ovvero “fulmine”, “lampo” e come un fulmine a ciel sereno arriva nelle sale il film di Andy Muschietti (Mama, It, It – Capitolo 2), opera-cerniera tra il vecchio DCEU in procinto di essere definitivamente archiviato e il nuovo universo DCU a cura di Gunn/Safran.
Se James Gunn l’aveva definito “il più grande film di supereroi che avesse mai visto” bisogna riconoscere che il pubblico non abbia avuto la stessa entusiastica reazione del nuovo CEO della Dc.
Con un risultato al botteghino di molto sotto le aspettative, un soggetto intelligente ma uno script (quello di Christina Hodson che non azzecca una battuta) urge comunque ricordare che valga la pena parlare di The Flash.
Partorito dopo più di trent’anni di lavorazione e il susseguirsi di vari registi, il film è il primo stand alone dedicato a Barry Allen/The Flash (Ezra Miller, perfettamente in parte), il supereroe supersonico amico di Batman e Wonder Woman.
Una volta capito di poter tornare indietro nel tempo grazie alla sua super velocità e deciso a cambiare il passato per evitare l’assassino della madre, Barry si troverà invece in un universo alternativo dove Bruce Wayne/Batman non è più interpretato da Ben Affleck ma dal veterano Michael Keaton (che regge la scena nonostante sia appena abbozzato) e Superman non è mai arrivato sulla terra. Da vero nostalgico Muschietti ci rigetta nella atmosfera de L’uomo D’Acciao (2013) – torna anche Michale Shannon, ma ,aimè, deprivato del tono che aveva nel film di Snyder -, trasforma abilmente le storpiature della sceneggiatura in punti di forza, resta sospeso tra inside joke e fan service, gioca con l’epicità à la Zack Snyder e vira verso il popism ricalcando i modelli Marvel (e Barry Allen non può non ricordare a tratti il Peter Parker di Tom Holland).
Tutto pronto per confluire nel roboante finale in cui fisicamente (non diciamo di più) i mondi collidono come recita il tagline del trailer.
Forse troppi film in uno, tanti possibili in un’unica (im)possibile storia, un’eccessiva bella mostra del machi targati DC con quel finale dove appaiono tutti insieme al fine di strappare la sorpresa allo spettatore incredulo.Ma in questa carovana di maschi in tute sintetiche una cosa è certa: il volto splendido e sensuale di Maribel Verdú non si riesce a dimenticare nemmeno stavolta nonostante la piccola e ridottissima parte.
E forse sì, The Flash sarà anche pienl di difetti ma mi trovo d’accordo con Filippo Mazzarella quando dice che la poetica del multiverso, centrale nel film di Muschietti e risolta in maniera originale, sia “la più moderna, urgente e (in)afferrabile declinazione di spiritualità e romanticismo di cui i nostri tempi sono ormai privi”. Che piaccia o no, con i suoi pregi e difetti.